materie prime

materie prime2021-11-03T09:49:02+01:00

Con il termine di materie prime si definiscono sostanze di diversa provenienza, naturale o sintetica, che – opportunamente estratte dalle piante (un tempo anche dagli animali) o ottenute in laboratorio grazie a particolari reazioni chimiche – servono ai profumieri creatori (o “nasi”) per comporre i profumi.

Sono oltre 5.000 le materie prime a disposizione di un creatore di profumi: per comodità vengono suddivise per affinità olfattive in gruppi detti sfaccettature, le quali sono a loro volta organizzate in famiglie, una struttura piramidale secondo il loro grado di volatilità.

la natura

È la fonte più ricca e impensata di sostanze odorose naturali che provengono da tutti i paesi del mondo e il loro principio olfattivo è contenuto nelle piante o negli animali.

Le materie prime naturali di origine vegetale provengono da varie parti delle piante, dalla scorza degli agrumi, dalle piante aromatiche, dai fiori, dai semi, dalle foglie, dalle varie parti degli alberi, delle radici, dei legni, dei rizomi e dei baccelli.

In passato, venivano utilizzati degli odori provenienti dalle secrezioni ghiandolari di alcuni animali, come quelle dello zibetto o l’ambra grigia, una sostanza odorosa che proviene dalle concrezioni intestinali del capodoglio, una sorta di “calcolo”. O, ancora, il musk estratto dalle ghiandole sessuali del cervo muschiato che viveva in Tibet e in Cina ormai quasi estinto, e il castoreo, sostanza che il castoro secerne per impermeabilizzare la sua morbida pelliccia dall’aroma massiccio, forte e robusto.

Queste sostanze sono state ormai sostituite da molecole di sintesi, dato che il loro utilizzo è spesso limitato e regolamentato in quasi tutti i paesi del mondo e il loro costo ha raggiunto livelli estremamente elevati.

la scienza

Lo sviluppo della chimica organica che ha portato alla scoperta dei prodotti sintetici per la profumeria, si situa attorno alla fine del 19° secolo e ha arricchito e continua ad arricchire la “regia” del profumiere, dando la possibilità di conferire maggiore originalità alle composizioni. Infatti, alla scoperta di una grande molecola spesso corrisponde la creazione di un grande profumo.

Con il termine generico di agrumi si intendono le piante appartenenti alla famiglia delle Rutacee che comprende i più caratteristici arancia dolce e amara, bergamotto, cedro, limetta, limone, mandarino e pompelmo e varietà e ibridi di importazione come kumquat (originario della Cina, detto anche mandarino cinese, più piccolo del suo corrispettivo europeo), yuzu (un limone dolce molto usato dai giapponesi) e lime (originario del Sudest asiatico, Messico, America Latina e Caraibi).

In profumeria, gli olii essenziali ricavati per spremitura dalle scorze dei frutti, appartengono alla sfaccettatura esperidata (o agrumata, o citrus)

Apportano alle composizioni note frizzanti e vivaci, solari, fresche e toniche.

arancia

L’albero dell’arancio dolce è originario delle zone al confine tra la Cina e il Vietnam e fu importato in Europa nel 16° secolo da marinai portoghesi (anche se alcuni testi riportano coltivazioni in Sicilia già nel 1° secolo…). Il suo fiore, bianco e profumato, genera il frutto la cui scorza contiene piccole ghiandole piene di olio essenziale.

L’arancio amaro si differenzia da quello dolce per alcune caratteristiche dell’arbusto e soprattutto per il gusto amaro della polpa del frutto. L’olio essenziale, che varia in base alla zona d’origine, ha una nota olfattiva molto ricca e fresca ma amara e secca allo stesso tempo.

Entrambi gli arbusti sono un antico ibrido tra il pomelo e il mandarino.

bergamotto

“L’oro verde della Calabria” così chiamato perché sulla costa ionica di Reggio Calabria nasce e cresce la migliore qualità di bergamotto, oggi coltivato quasi esclusivamente solo in questa regione dove è nato il “Consorzio del Bergamotto di Reggio Calabria” che sperimenta nuove tecnologie di produzione.

L’arbusto è un incrocio naturale tra l’arancio amaro e il limone o la limetta acida; il frutto ha la buccia liscia e sottile, per lo più di colore verde.

Il bergamotto è usato nell’86% delle note di testa dei profumi di tutto il mondo.

Viene citato anche da Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne “Il Gattopardo” “… il cameriere si sollevò sulla punta dei piedi per infilargli la redingote di panno marrone; gli porse il fazzoletto con le tre gocce di bergamotto.”

cedro

È un albero da frutto ritenuto una delle tre specie di agrumi – con il pomelo e il mandarino – da cui derivano tutti gli alberi del genere oggi conosciuti.

Ha le sue origini nell’Asia sudorientale e giunse in Europa in tempi remoti. Anche in Italia la conoscenza del cedro è molto antica.

Il frutto è molto grande rispetto agli altri agrumi, può pesare fino a 2 chili e misurare 30 cm di diametro. Ha una buccia molto ruvida e spessa che costituisce fino al 70% del frutto ed è ricca di olio essenziale che ricorda il limone ma con note più delicate e dolci.

chinotto

L’origine dell’agrume non è nota, sembra si tratti di una mutazione dell’arancio amaro che, nel tempo, si è sviluppato in questa specie.

In Italia è coltivato in Liguria (il chinotto di Savona è presidio Slow Food), in Toscana, in Sicilia e in Calabria.

I frutti sono piccoli e schiacciati ai poli e hanno un succo molto amaro e acido: ricchissimi di effetti benefici, appaiono verdi, gialli e arancioni, a seconda della maturazione. Come la maggior parte degli agrumi, anche i chinotti possono aspettare a lungo sulla pianta prima di venir colti. Sembra anzi che al chinotto spetti il primato, dato che si dice possa rimanere sul ramo fino a due anni. Normalmente i frutti maturano alla metà di giugno. Al naturale sono molto amari ma, sapientemente lavorati, diventano squisite prelibatezze e una piacevolissima bibita.

Dalle foglie e dalla scorza si estrae un olio essenziale utilizzato in moltissime declinazioni, anche in cosmetica e profumeria.

clementina

Appartiene al gruppo dei mandarini ed è anche comunemente conosciuta col nome di mandarancio, probabilmente per il fatto che si ritiene sia un ibrido tra arancio e mandarino: dell’arancia ha il gusto più simile, al mandarino assomiglia come albero e frutto.

limone

L’arbusto è un ibrido tra arancio amaro e cedro. Il frutto è uno degli agrumi più conosciuti per la sua acidità, per le proprietà antisettiche e per il suo alto contenuto di vitamina C.

Le origini del limone sono incerte ma si pensa che sia originario dell’India e della Cina dove era coltivato circa 3000 anni fa. Attorno al 15° secolo, il limone giunse in Europa attraverso la penisola iberica e l’Italia (qui coltivato a Genova).

Esistono diverse varietà di limone, in particolare nel sud Italia ci sono alcune tra le qualità più pregiate: Costa d’Amalfi, Sorrento, Siracusa…

mandarino

È uno dei tre agrumi originali del genere Citrus (con il cedro e il pomelo).

La pianta è un arbusto che cresce spontaneamente nel sud est asiatico e specialmente in Cina da oltre 3.000 anni; in Europa arriva all’inizio del 19° secolo, importato dall’Indocina come una pianta rara.

Il frutto è un agrume dalla polpa zuccherina e profumata.

Si ipotizza che la parola “mandarino” derivi dal cinese dove indicava l’autorità addetta alla riscossione dei mandarini di grossa taglia offerti come tributo all’imperatore. Il termine indicava anche la lingua elitaria del Nord della Cina.

pompelmo

L’arbusto è un antico ibrido tra l’arancio dolce e il pomelo.

In Giappone si utilizza il pompelmo da più di 4.000 anni, come idratante e purificatore della pelle.

Arrivato in Florida e in Giamaica verso il 1800, la sua coltivazione si è poi estesa conoscendo momenti di gloria nel 1930 quando divenne popolare una dieta snellente “miracolosa” a base di pompelmo e poi, agli inizi degli anni ’80, fece la sua apparizione un nuovo regime alimentare a base di pompelmo (la “dieta di Hollywood”).

Esistono diverse varietà di pompelmo: la più importante è il pompelmo rosa la cui colorazione deriva da una mutazione spontanea della varietà gialla. Fu osservata in Texas nel 1929 e mantenuta stabile con varie successive ibridazioni.

La storia delle piante aromatiche e medicinali comincia 4.000 anni prima della nostra era sulle coste del Malabar, nel sud ovest dell’India, ed è associata all’evoluzione delle civiltà: solo come esempio, le erbe aromatiche erano usate da tempi immemori dagli egizi per l’imbalsamazione oppure dai cinesi per medicamento… In tutte le parti del mondo, la storia dei popoli mostra come queste piante abbiano sempre occupato un posto importante nella medicina, nella composizione dei profumi e nelle preparazioni culinarie.

angelica

È una pianta ombrellifera della famiglia delle Apiacee come la carota, il finocchio e il sedano. Originaria delle regioni del Nord Europa e della Siberia, fu introdotta in Francia nel Medio Evo.

In profumeria si usano i distillati di radici e di semi e, pur avendo rese olfattive diverse, hanno entrambi sfumature verdi e cipriate. La radice è più secca e legnosa, il seme è più mentolato.

artemisia

È una pianta aromatica tipica del bacino del Mediterraneo. Diverse sono le ipotesi del nome: potrebbe essere ricondotto alla dea greca della caccia Artemide oppure riferirsi al termine greco artemes (“sano”), per le proprietà medicamentose della pianta.

In profumeria si usa l’olio essenziale estratto per distillazione a vapore delle foglie e delle estremità fiorite. La nota olfattiva è erbacea, canforata, balsamica.

davana

Erba aromatica utilizzata in India per scopi religiosi da tempo immemore: i fiori freschi di davana venivano offerti a Shiva, forse come un segno di riconoscimento delle sue proprietà medicinali.

L’olio essenziale di davana, che si ricava dalla distillazione a vapore delle foglie e dei fiori della pianta, ha un odore legnoso, fruttato con una punta mentolata balsamica in testa.

elicriso

L’elicriso è una pianta dai fiori giallo oro: il nome deriva dal greco helios che significa sole e chrysos che significa oro, e si riferisce appunto alla forma e al giallo dorato dei suoi fiori e al fatto che la pianta vegeta in luoghi molto assolati e caldi. Cresce in tutto il bacino del Mediterraneo, è diffusa in luoghi incolti e pietrosi, assolati e aridi; fiorisce nei mesi di giugno e luglio.

Ha virtù terapeutiche antibatteriche e antinfiammatorie.

La parte utilizzata in profumeria sono i fiori dai quali, per estrazione, viene ricavato un liquido giallo il cui profumo possiede molte sfumature: di frutta candita o secca, di fieno, di miele, di cuoio e di curry. Nonostante questa ricchezza olfattiva, però, il fiore è poco utilizzato nei profumi.

lavanda

La lavanda è entrata a far parte della tradizione popolare grazie al suo delicato, fresco e persistente profumo. Da sempre è, infatti, utilizzata per profumare la biancheria.

Il nome lavanda è stato recepito letteralmente nella lingua italiana dal gerundio latino “lavare” (che deve essere lavato) per alludere al fatto che questa specie era molto utilizzata nell’antichità, soprattutto nel Medioevo, per detergere il corpo. La lavanda è stata ed è l’elemento base per la preparazione dei pot-pourri per profumare la casa fin dal lontano 1700.

La Lavandula Officinalis è una pianta con una base legnosa bruna e senza foglie da cui si sviluppano numerosi fusti erbacei, alti fino a 70 centimetri. L’infiorescenza è posta al termine del fusto; i fiori sono riuniti in verticilli di colore bluastro che nel loro insieme formano una specie di spiga e si raccolgono all’inizio della fioritura, in giugno-luglio. Cresce dalla regione mediterranea a quella montana (dai 300 ai 1.000 mt) nei terreni asciutti, esposti al sole e con un buon contenuto di calcare. Cresce spontanea sotto i 500 mt ed è abbondantemente coltivata soprattutto in Provenza, dove si possono ammirare diverse varietà che, oltre a permeare l’aria con la loro deliziosa fragranza, donano una nota di colore al paesaggio.

Due sono le specie attualmente coltivate in Italia: la lavanda vera (Lavandula Officinalis) e il lavandino (un ibrido tra la Lavandula Officinalis e la Lavandula Latifolia).

La prima, la lavanda comune, è coltivata soprattutto in Emilia e in Toscana, mentre il lavandino è una tipica coltura ligure (provincia d’Imperia) e piemontese. La superficie destinata ad ambedue le colture è, in ogni caso, ancora molto ridotta e probabilmente non supera – in totale e per l’intera superficie nazionale – i 100 ettari.

Negli ultimi anni la coltivazione della lavanda è in lieve aumento, anche in considerazione di un altro prodotto, oltre all’olio essenziale, che il lavandeto è in grado di fornire: il miele. Il profumo della lavanda, infatti, attira le api producendo un ottimo miele aromatico, prodotto raro e pregiato. Sapevate che, nonostante la patria della lavanda sia notoriamente la Provenza, i vecchi vigneti del Piemonte, non più produttivi, sono adatti alla coltivazione di questa pianta per ricavarne essenza o come pascolo per le api? Infatti, il miele che le api ricavano dalla lavanda è pregiatissimo e la lavanda visitata dalle api produce il 20% in più di essenza.

menta

Secondo la mitologia, il nome deriva dal greco “Minthe”, una ninfa dei fiumi sfortunata, trasformata in un’erba da Persefone perché amante di Dite.

Molto conosciuta già al tempo degli Egizi e dei Romani, se ne fanno diversi usi per le sue proprietà digestive, antisettiche e antispasmodiche.

Le specie più famose sono la “piperita” e la “spicata”: la prima contiene un’alta percentuale di mentolo che apporta molta freschezza; la seconda è caratterizzata da note più balsamiche grazie all’elevata concentrazione di canfora.

In profumeria, si usa l’olio essenziale prodotto dalla distillazione a vapore delle cime fiorite e delle foglie.

mirto

È un arbusto spontaneo delle regioni mediterranee. In Italia, la coltivazione è molto diffusa in Sardegna grazie all’attività dell’industria liquoristica che ha portato a una notevole espansione sul territorio.

In profumeria si utilizza l’olio essenziale ottenuto per distillazione a vapore di foglie, rami e talvolta fiori. Le caratteristiche olfattive sono molto legate alle diversità dei territori dove vengono fatte le raccolte.

rosmarino

Pianta tipica della regione mediterranea dove cresce – sia spontanea che coltivata – un po’ ovunque, dal livello del mare alle colline, ma anche in pianura e nelle zone lacustri.

In profumeria si usa l’olio essenziale distillato a vapore dalle sommità fiorite e dalle foglie.

te

Secondo la leggenda, dobbiamo la scoperta del tè a un monaco buddista indiano battezzato Dharma. Quest’ultimo aveva fatto il voto di non dormire per meglio consacrarsi alla meditazione. Ma un bel giorno, sulla strada, non poté resistere al sonno. Al suo risveglio, preso dai rimorsi, si strappò le palpebre e le sotterrò per non dormire mai più. Alcune settimane dopo, in quello stesso punto era spuntato un albero. Il giovane monaco ne assaggiò qualche foglia e si accorse che questa pianta sconosciuta aiutava a lottare contro la stanchezza.

In profumeria, si ottiene l’olio essenziale con l’estrazione diretta delle foglie e apporta alle fragranze una nota aromatica.

camelia

La camelia è un arbusto sempreverde dal fusto durissimo e compatto, con foglie lucenti e fiori a forma di coppa, grandi fino a 20 cm. di diametro, in tutte le sfumature dal bianco al giallo al rosso.

È originaria delle zone tropicali dell’Asia, in particolare della Corea e del Giappone. Attualmente, se ne conoscono oltre 250 specie.

Tra i generi finora scoperti, alcune camelie sono note per il loro profumo dolce, simile alla prugna.

La varietà “Nioi-fubuki” (“bufera profumata” in giapponese) è caratterizzata da un alto contenuto di linalolo, un elemento base delle fragranze fiorite, ed emana un profumo dolce e fresco.

Qualcosa di simile si trova in un’altra camelia, “Kohshi” (“porpora profumata”), il cui sentore è simile a quello del rododendro, ma è talmente leggero che si avverte soltanto annusando molto da vicino.

La camelia “Sasanqua” è più piccola ed emana un profumo più persistente rispetto alla camelia comune. Etimologicamente la parola “Sasanqua” è considerata una variante fonetica del termine cinese “Mantan Tea Flower”. Questo tipo di camelia veniva così chiamato perché era generalmente usata per profumare il tè.

fior d’arancio

Fiore prodotto dall’arancio amaro (Citrus aurantium) e dall’arancio dolce (Citrus sinensis), da cui si ricava un’acqua aromatica utilizzata soprattutto nella pasticceria mediorientale e del sud Italia.

Nella lingua italiana, il fior d’arancio è detto anche zagara – termine derivato dall’arabo “zahr” che significa genericamente “fiore” – e, in profumeria, ha la particolarità di poter essere sottoposto a due processi di estrazione per ricavarne il principio odoroso:

  • nel caso si utilizzi il più tradizionale metodo di distillazione si ottiene l’essenza di fiori d’arancio, comunemente detta “neroli” in onore della principessa italiana di Nerola, amante di questa essenza che in passato veniva utilizzata per profumare i tessuti: l’odore è delicatamente fiorito ma conserva la vivacità e la leggerezza delle note agrumate.
  • Se il fior d’arancio viene sottoposto a estrazione, la parte odorosa ricavata risulta più “cerosa” e dotata di maggiore persistenza: si parla in questo caso di assoluta di fiori d’arancio.

iris

Ormai non è più un segreto che il prezioso effluvio dell’iris non proviene dai petali del suo fiore bensì dal rizoma. Ma quanti sanno che il laborioso processo di estrazione del principio olfattivo comincia in luglio con la raccolta dei preziosi tuberi?

Anni fa, percorrendo le colline del Chianti nel mese di maggio, si poteva assistere alla meravigliosa fioritura dell’iris florentina o della sua variante minore, l’iris pallida, la cui coltivazione per la raccolta dei rizomi da impiegare in farmacopea e in profumeria rappresentava, ancora all’inizio del secolo scorso, una delle risorse agricole più interessanti per la Toscana.

A parte l’impiego dell’essenza vera e propria, il rizoma finemente polverizzato viene usato ancora oggi per profumare talchi e ciprie, nonché dentifrici e sacchetti per la biancheria. Nelle campagne era uso dare ai bambini in fase di dentizione un pezzetto di rizoma da masticare; era anche utilizzato per conferire un aroma particolare al vino.

Esiste tuttora una cooperativa che promuove la coltura dell’iris e, a partire dalla fine di luglio, si può ancora assistere alla raccolta artigianale dei rizomi.  Nella zona tra San Polo in Chianti e Poggio alla Croce, al mattino presto, i contadini si avviano verso i campi, quando l’aria è ancora fresca, e iniziano la raccolta dei rizomi. Sono ormai trascorsi tre anni dalla piantagione delle barbatelle (porzioni di rizoma con radici e foglie) e, a ogni primavera, si è provveduto alla pulizia dalle erbacce.

La prima fase del raccolto consiste nel “cavare” l’iris da terra, mediante una piccola zappa detta “ubbidiente”. Tolta la terra, si stacca la pianta dal rizoma, lasciandone solo una parte per la ripiantagione. Si procede poi alla “sbarbucciatura”, ovvero alla pulitura del rizoma dalle radici. I pezzi di rizoma tagliati a fette, vengono poi messi a seccare sulle “tese”, lunghe file di cannicciati sollevati da terra.

I rizomi di iris contengono delle molecole denominate “ironi” le quali posseggono un odore intenso e penetrante che spiega l’impiego dell’iris in profumeria sin dal 18° secolo e la grande notorietà della polvere di iris. Il periodo di essiccazione dura dai due ai tre anni circa per consentire la formazione degli “ironi” e massimizzare il rendimento olfattivo; in seguito, si procede con la distillazione. La sostanza ricavata viene denominata “burro” perché di consistenza e aspetto simile al burro a temperatura ambiente.

Con 1.000 chili di rizoma fresco si ottengono 250 chili di prodotto essiccato e, dopo macinazione e distillazione, si otterranno 2 litri di olio essenziale. Questo spiega perché l’iris sia considerato una delle sostanze più nobili della paletta olfattiva e il costo del “burro” raggiunga delle vette molto selettive.

Usato in dosi anche infinitesimali, l’iris naturale ha il potere di conferire alle fragranze femminili una sensualità romantica, un tocco delicato e nostalgico tipico della sfaccettatura cipriata.

L’ACQUA DELLA REGINA

Si dice che il profumo dall’aroma di mammola ricavato dal rizoma dell’iris fosse il preferito di Caterina de’ Medici che portò con sé in Francia i segreti di quella essenza odorosa che da lei prese il nome di “Acqua della Regina”. Oggi l’antica ricetta è realizzata solo dall’Officina Profumo Farmaceutica di Santa Maria Novella a Firenze, l’antica farmacia conventuale che risale al 1200 e che è l’unica al mondo a realizzare i prodotti seguendo ancora le indicazioni dei frati domenicani, restando fedele a una tradizione secolare.

loto

È una pianta acquatica perenne, le sue radici rampicanti crescono nell’acqua torbida e da esse spuntano foglie circolari, a forma di scudo e dallo stelo lungo, che misurano circa 50 centimetri di diametro e si aprono sulla superficie dell’acqua.

Il loto sbocciava nelle paludi e negli stagni ancora prima della comparsa dell’uomo, ed è citato in testi antichi come l’Antico Testamento, lo Shi-King (libro di canti cinesi) e il Kojiki (antiche leggende del Giappone). È stato venerato in varie civiltà e considerato sacro soprattutto per la purezza dei suoi fiori che emergono dalle acque torbide in tutta la loro bellezza.

In India le belle donne vengono paragonate a un fiore di loto e sono chiamate “padmin”, che significa “signora del loto”. In Vietnam i migliori tipi di tè sono aromatizzati al loto. Nel 1951, uno dei tre semi di loto risalenti a 2.000 anni fa (scoperti nella regione Kemigawa in Giappone) fiorì e divenne noto come “il fiore più antico del mondo”.

Al mattino presto, a metà estate, i grossi fiori rosa, rossi, bianchi o gialli, che emergono dall’acqua con spessi rizomi, si aprono all’improvviso.

I componenti aromatici di questi fiori sono contenuti nello stame. Anche i petali sono leggermente profumati, ma in minima parte. I componenti aromatici più importanti sono Carioffillene, Pentadecan e Metossibenzene 1.4, quest’ultimo caratterizzato da una profumazione dolce, leggermente medicinale, dalla quale deriva il carattere mistico della fragranza di loto.

magnolia

La magnolia, originaria dell’America, si è diffusa in Italia nella seconda metà del ‘700. La specie più diffusa nella nostra zona è la Magnolia Grandiflora che può raggiungere anche i 20 m di altezza, con fiori bianchi molto grandi e profumatissimi.

Il nome del genere risale a Pierre Magnol (1638-1715), direttore del giardino botanico di Montpellier e autore di importanti opere a carattere naturalistico.

È una pianta che da sempre affascina, per la sua forma e per il suo profumo, che talvolta arriva all’improvviso e ricorda l’aroma del limone. È regale e anche preziosa, perché catturarne le essenze è difficilissimo: il suo profumo è spesso ricreato usando tecniche di riproduzione.

osmanto

L’osmanto odoroso è un arbusto sempreverde, originario della Cina e del Giappone, che arrivò in Europa nella metà del 19° secolo. In Asia è simbolo di amore e romanticismo: secondo un’antica tradizione, la sposa donava un fiore di osmanto alla nuova famiglia per essere ben accolta e garantire la nascita di molti figli.

Oltre che in profumeria, è usato per aromatizzare il tè o come ingrediente per dare dolcezza e freschezza ai piatti culinari.

La pianta ha fiori piccoli, molto profumati, che sbocciano in autunno. Il loro odore è di pelle di albicocca e, per questo, pur essendo un fiore, non appartiene alla famiglia olfattiva fiorita ma a quella fruttata. È una delle materie prime tra le più costose in profumeria e arricchisce le fragranze con note dolci di miele e frutta, con un fondo di legni e spezie.

peonia

La peonia è l’unico genere della famiglia delle Peoniacee e comprende specie erbacee perenni, anche con radici tuberose alte fino a 1 m, e arbusti a foglie caduche alti fino a 2 m, con coloratissime e profumate fioriture.

Secondo miti e leggende, la peonia era l’unico fiore coltivato sul Monte Olimpo ed è associata all’immortalità nella cultura orientale.

La delicatezza dei fiori non permette l’utilizzo diretto per l’estrazione dell’olio essenziale e, quindi, in profumeria si usano solo riproduzioni del fiore.

piante e fiori rari

White Ginger Lily

È un fiore originario della catena dell’Himalaya, tra l’India e il Nepal, dove è noto come “Dolan Champa”. Il suo nome botanico è Hedychium Coronarium e viene esportato in tutto il mondo.

È molto profumato e allo stesso tempo delicato, con accenti speziati e piccanti e la caratteristica connotazione fruttata delle solari piante esotiche.

Nella tradizione indiana è associato a Ganesh, il dio elefante: infatti nel Maharastra (la regione di Mumbai) durante il Ganesh Chaturti – festival di 10 giorni in onore della divinità – è presente in tutti i templi, le case e i luoghi pubblici. È anche consumato con insalate, minestre, fritti, nelle infusioni di tè e usato per la preparazione di medicinali.

È la pianta nazionale di Cuba, dove si trova sia spontanea che nei giardini: è molto apprezzata per la sua bellezza e la grazia della sua forma e dei suoi colori tanto che è conosciuta come Mariposa (farfalla in lingua spagnola). In epoca coloniale le donne la utilizzavano come un gioiello, fra i capelli o come collana.

Blue Lotus

Il suo nome botanico è Nymphaea Caerulea, da non confondersi con il loto bianco (Nelumbo Lucifera) presente nelle culture asiatiche legate al Buddismo e all’Induismo.

Questo fiore ha la particolarità di schiudersi durante le prime ore della mattina. Il suo profumo è soave e delicato con sfumature fresche ed erbacee, ricorda per alcuni aspetti il giacinto, fiore fresco dalle connotazioni verdi. I suoi principali costituenti sono l’acetato di benzile (come il gelsomino), l’acetato di cinnamile e l’alcool cinnamico, che conferiscono al Blue Lotus un accento aromatico e speziato.

Presso gli egizi questo fiore era associato al dio Ra per il suo aspetto che lo rende una rappresentazione del sole che brilla nel cielo. Era utilizzato in alcuni rituali shamani poiché contiene delle sostanze allucinogene che si dice possano provocare stati di estasi. Si diceva che fosse il fiore dell’oblio e viene citato nell’Odissea: Ulisse e i suoi uomini mangiarono alcuni di questi fiori nell’Isola dei Lotofagi.

Muhuhu

È un legno originario dell’Africa. Il suo profumo caratteristico e gradevole gli ha fatto guadagnare la denominazione di “sandalo africano”.

Il suo nome botanico è Brachylena Hutchinsii ed è utilizzato sia in aromaterapia che in profumeria per la sua qualità di fissatore e per il suo odore caldo, latteo e leggermente floreale: l’essenza è ricavata dalla distillazione del legno.

Night Queen

Il Selenicereus Grandiflorus è decisamente atipico: infatti il suo profumo può essere apprezzato solamente di notte quando il fiore si schiude, motivo che rende questa pianta affascinante e misteriosa.

Il profumo di questo fiore è uno dei più potenti del regno vegetale: se ne percepisce la fragranza sino a 100 metri di distanza. Possiede un inconfondibile odore denso e mielato, con tocchi di vaniglia ed esuberanti accenti fruttati.

Generalmente si può trovare in tutto il centro e sud dell’Africa, i fiori sono molto grandi – fino a 35 cm di diametro – di colore bianco e protetti da spine come il fusto della pianta.

Cipriolo

Appartiene alla stessa famiglia del papiro e ne vengono distillati i rizomi.

L’olio essenziale conferisce alle fragranze una nota legnosa profonda e misteriosa, con accenni terrosi, dalle evocazioni olfattive che echeggiano il cedro e il vetiver e leggere sfumature speziate di cannella.

In India è conosciuto come “nagarmotha”: si crede che ponendosi sulla fronte una goccia di olio essenziale, l’uomo abbia la garanzia di un grande successo in amore.

rosa

Regina dei fiori la rosa, re dei giardini il roseto che la produce. Da sempre considerata simbolo di eleganza, di bellezza e di fragilità, è coltivata dalla notte dei tempi: si dice sia stato Sargon I (re di Assiria dal 1920 a.C. al 1881 a.C.) a promuoverne la coltivazione.

La rosa giunge dalla Persia dove si iniziò a coltivarla grazie alla situazione climatica e, ben prima della nascita di Cristo, venne portata in Europa.

Re e regine venivano lavati e profumati con acqua di rose e durante le festività religiose veniva spruzzata nell’aria. I Romani la resero sacra e la consideravano un dono di Afrodite dea dell’Amore. Anche i templi venivano decorati dai Greci e dai Romani con tralci di rose. I greci consacrarono la rosa a Venere, dea dell’amore. Epicuro la coltivava nei propri giardini e affermava che cogliere una rosa al mattino era una delle più grandi gioie della vita. La poetessa Saffo le donò l’appellativo di regina dei fiori. I romani la utilizzavano per aromatizzare il vino e i sorbetti. Nell’era cristiana fu dedicata alla Madonna e alcune preghiere ne hanno derivato il nome, come ad esempio il rosario.

È il fiore più cantato dai poeti e nominato dagli antichi scrittori: nel Vecchio Testamento, libro della Sapienza, si parla di rose; nel Cantico dei Cantici si cita la rosa di Saron; nelle tombe egiziane si trovano rappresentate; Omero ci dice che Aurora, la dea del mattino, con “dita di rosa” dipinge di colore il mondo a ogni alba; Saffo, Catullo, Anacreonte, Virgilio, Ovidio ed Erodoto, Plinio e Ippocrate erano stregati dal suo fascino; i trovatori medioevali s’ispiravano al suo simbolo; Dante paragona l’amore paradisiaco al centro di una rosa.

In tempi più vicini a noi troviamo Lorenzo il Magnifico, Shakespeare che ne parla nell’”Enrico IV” e in “Molto rumore per nulla”, D’Annunzio, Giovanni Pascoli con “Rosa di macchia”, Pier Paolo Pasolini e Umberto Eco non hanno saputo resistere alla tentazione di usarla come pietra di paragone per esseri umani o divini, come titolo di un’opera.

Gli olii essenziali utilizzati in profumeria e in cosmetica da tempi immemorabili provengono dal trattamento della rosa centifolia e della rosa damascena. Fu durante il 1500 e il 1600, con il proliferare dei commerci fra l’Oriente e il nord Europa, che si introdussero molte specie di rose e si costituirono tante varietà. È infatti in questo periodo che, in Olanda, si svilupparono le coltivazioni della rosa centifolia (formata da geni di rosa gallica, moscata, canina, damascena). È conosciuta e coltivata in Francia (oggi quasi esclusivamente nella regione di Grasse) fin dal 1596 e nota anche con l’appellativo di rosa di maggio: una varietà così preziosa da essere trattata solo tramite estrazione e con una resa dell’assoluta particolarmente limitata, dall’1,5 al 2%.

Le rose turca, indiana, egiziana, bulgara e del Marocco hanno come provenienza botanica la rosa damascena (o rosa di Damasco) ma le diverse condizioni climatiche e geologiche dei luoghi di coltivazione conferiscono tonalità olfattive diverse e quindi molto interessanti per la creazione.

La rosa bulgara è nota per la qualità superiore poiché si ritiene che il suolo e le condizioni climatiche della Bulgaria siano ideali per coltivare le rose. La Bulgaria è il maggior produttore di rose per essenze ed esporta più di 1300-1400 chilogrammi di olii essenziali all’anno.

Quando arriva la stagione della raccolta dei fiori, a giugno e luglio, si chiudono le scuole e tutta la famiglia si reca nei campi a raccogliere i preziosi fiori. La raccolta inizia alle 4 del mattino e continua fino alle 10. Una sola persona può raccogliere circa 30-50 chili di rose in sei ore. La raccolta inizia al mattino presto per ridurre al minimo la perdita di componenti profumati dovuta all’esposizione al sole che influisce sulla qualità delle rose. I fiori raccolti vengono trattati con vapore a una temperatura di circa 120°C e vengono distillati per 3 ore per ricavare sia l’olio essenziale di rosa che l’acqua di rosa.

Sono necessari 1.400 fiori per ottenere 1 grammo di prezioso olio essenziale che rappresenta il distillato naturale di rosa. Per ottenere 1 chilo di olio essenziale sono necessarie 3 tonnellate di rose.

tagete

Il tagete è una pianta fiorita erbacea, detta anche garofano indiano, originaria degli USA, del Messico e del sud America.

In profumeria, si ottiene l’olio essenziale per distillazione dai fiori. Apporta alle fragranze una nota verde.

violetta

La violetta di Parma rappresenta, per il mondo della profumeria italiana, un patrimonio storico e culturale di cui essere fieri.

Nelle creazioni moderne, la rappresentazione olfattiva della violetta si ottiene attraverso l’impiego di molecole di sintesi dette iononi (dal greco ion, violetta) scoperte nel 1893 dai chimici tedeschi Tiemann e Krüger, per infondere un profumo delicato, elegante e con un aggraziato tocco retrò.

Si usa ugualmente sottoporre la foglia della violetta a distillazione a vapore o a estrazione con solventi vari per ricavarne l’odore che, oltre all’effetto “cipriato” tipico del fiore, aggiunge la verde freschezza di un accenno vegetale.

Ma, almeno in passato, si è potuto utilizzare il delicato petalo della violetta in composizioni profumate?

Anche se conosciuto sin dall’Antichità in tutto il bacino del Mediterraneo, fu solo agli inizi del 19° secolo che il fiore di violetta raggiunse la notorietà universale e cominciò a essere apprezzato maggiormente per il suo profumo.

Napoleone lo amava moltissimo e assai più di lui la sua seconda moglie, l’imperatrice Maria Luigia d’Austria che, quando diventò Duchessa di Parma, volle impiantare una coltivazione di violette che presero il nome dalla città emiliana e che ne divennero da allora uno dei simboli. I frati del Convento dell’Annunciata di Parma riuscirono a ottenere dal fiore e dalle foglie di violetta un’essenza che entrava nella formula segreta di un profumo a uso esclusivo di Maria Luigia.

Nel 1870, Ludovico Borsari raccolse l’eredità dei frati e ne fece una produzione destinata a un pubblico più vasto: nasceva la prima grande industria italiana di profumi.

Nel corso del 19° secolo la coltivazione della violetta si diffuse largamente in tutta Europa, soprattutto nella zona di Grasse. In ottobre e in marzo, quando i bouquet di violette si vendevano meno, squadre di lavoratori provenienti dal vicino Piemonte raccoglievano a mano le corolle delle violette, che poi venivano sottoposte a “enfleurage”.

Dal 1935, a causa di una malattia – che distrusse quasi completamente le coltivazioni di violetta di Parma nella zona intorno a Grasse -, dell’impiego sempre più frequente degli iononi, dei costi di produzione divenuti esorbitanti e anche di un mutato gusto del pubblico, l’utilizzo dell’assoluta di violetta nelle composizioni profumate è andato via via diminuendo. Solo in tempi più recenti c’è stata una riscoperta di questa materia prima nelle composizioni profumate.

ylang ylang

Ritenuto da sempre il “fiore dei fiori”, l’ylang-ylang è il fiore dell’estasi e della seduzione che adorna i capelli delle donne e dona loro una forza rigenerante. È il fiore che profuma gli harem.

Il suo nome di origine tagalog (uno dei principali dialetti delle Filippine) potrebbe derivare dalla parola “ilang” che significa regione selvaggia, o da “ilang-ilan” ossia non comune, riferibile al suo profumo molto particolare.

L’albero, originario delle Filippine ma comune anche nelle isole della Polinesia, può raggiungere un’altezza di 20 m: viene tenuto a un’altezza massima di due metri per facilitare la raccolta dei fiori – che viene fatta a mano, all’alba – quando i petali sono di colore giallo intenso.

Fiore solo all’apparenza delicato, è chiamato anche “il gelsomino dei poveri” perchè i suoi petali odorosi sono invece molto resistenti e consentono di effettuare fino a tre distillazioni successive. Il prodotto della prima distillazione viene denominato ylang-ylang extra ed è comunemente usato in profumeria. Le distillazioni successive possiedono una qualità gradualmente inferiore. La terza distillazione mantiene ancora una discreta quantità di profumo e viene impiegata in saponi e prodotti per l’igiene personale.

Per ottenere 1 chilo di assoluta sono necessari 700 chili di fiori; per 1 chilo di olio essenziale ne servono 500 chili.

È stato ampiamente dimostrato che il nostro senso del gusto si affida all’olfatto per potersi esprimere in modo più completo. Viceversa, molti sono i termini che il gusto “presta” all’olfatto per descrivere un odore. Parliamo infatti di odori dolciastri, zuccherati, acidi, aspri, piccanti, frizzanti e tantissimi altri che le nostre esperienze olfattive e gustative ci suggeriscono.

In profumeria vengono definite note golose (o “gourmand”) le evocazioni olfattive di tutto ciò che può essere gustato o bevuto (frutta fresca esclusa). Da quelle utilizzate da lungo tempo, come la vaniglia, il cacao, il miele, la cera d’api, a quelle di più recente impiego, caffè, cappuccino, liquirizia, rum, praline, cioccolato… le materie prime golose – sia naturali che di sintesi (come l’aldeide aromatica detta vanillina e i suoi recenti derivati) – offrono un ventaglio illimitato di sfumature.

Il termine “gourmand” è entrato nel linguaggio descrittivo dei profumi con Angel di Thierry Mugler nel 1992, una delle prime fragranze a coniugare note orientali, ricche di fascino e mistero, con cioccolato, caramello e miele che ne addolciscono la carica di seduzione stemperandola in un’atmosfera magica e fiabesca. Nonostante il carattere molto particolare, dall’epoca del suo lancio si conferma ancora uno dei profumi di più grande successo presso il pubblico femminile.

A partire da questo capostipite, si è poi sviluppata una lunga stirpe di profumi nei quali la sfaccettatura “gourmand” si lega a personalità dominanti diverse in una tendenza che non si limita più al solo universo femminile ma tocca anche alcune fragranze maschili.

cacao

Il cacao è una pianta erbacea originaria dell’America Centrale. Ha origini antichissime e, secondo precise ricerche botaniche, si presume che fosse presente più di 6.000 anni fa nel Rio delle Amazzoni e nell’Orinoco. I primi agricoltori che iniziarono la coltivazione della pianta del cacao furono i Maya intorno al 1000 a.C.

Il cacao è molto sensibile all’ambiente esterno, sia per quanto riguarda la temperatura, sia per la quantità di precipitazioni e il tipo di terreno. Il frutto, di colore brunastro, abbastanza grosso e lungo circa 15 cm contiene alcune decine di semi, di aspetto simile alle mandorle. I semi vengono raccolti ed essiccati al sole. Dai frutti essiccati si ricava poi il prodotto finito.

In profumeria si utilizzano sia materie prime naturali che di sintesi.

caffè

Le specie di caffè, appartenenti al genere Coffea, sono oltre 100 e differiscono tra loro per gusto, contenuto di caffeina e adattabilità a climi e terreni diversi da quelli di origine.

In profumeria, la parte utilizzata sono i semi dell’arbusto.

Il rito del caffè in Etiopia

Amore e gloria nazionale, il caffè ebbe origine dalla remota regione abissina di Kaffa in Etiopia. Se in questo paese qualcuno vi invita a bere un caffè non dovete preventivare una breve visita di cortesia da risolvere in dieci minuti di chiacchiere. Il caffè in questo paese è un rito, tanto che si parla di “Bunna Ceremony”: si viene introdotti nel “salotto buono”, quale che sia, dove si ardono due piccoli bracieri poggiati sul pavimento cosparso di fiori ed erbagatta. La donna più giovane di casa, accoccolata su uno sgabellino, predispone la tostatura del caffè verde su uno dei due bracieri, mentre nell’altro mette grani di incenso o di mirra. Inebriati dal profumo, si gustano i semi arrostiti, i popcorn cosparsi di zucchero o il “dabo kolo” (pezzetti di pane fritto e zuccherato) che la padrona di casa offre nell’attesa. Che sarà lunga: dopo l’attenta tostatura, la fanciulla agita la ciotola di caffè sotto il naso di ciascun ospite perché possa goderne l’aroma, quindi passa alla macinatura che avviene rigorosamente col pestello, mentre l’acqua sobbolle piano sulle braci. Ci siamo: la giovane che presiede alla cerimonia versa l’acqua nella “gebenà”, la caratteristica caffettiera etiopica di argilla nera, e aggiunge il caffè ormai ridotto in finissima polvere. Il profumo meraviglioso della bevanda si mescola a quello dell’incenso, mentre vengono preparate le piccole tazzine senza manico sull’apposito tavolino, alto venti centimetri: se avete esigenze particolari in fatto di zucchero sarà meglio dirlo a questo punto, perché in genere il caffè viene offerto già zuccherato e se siete ospiti di riguardo ve ne verrà assegnata una quantità eccessiva (un vero salasso per la famiglia, ma in certe occasioni a queste cose non si bada…).

Ma come fu scoperto il caffè in questa parte del mondo? La leggenda narra che il pastore Kaldi un giorno notò che alcune sonnolente caprette a lui affidate diventavano insolitamente vivaci dopo aver mangiato le bacche rosse di alcuni cespugli e decise di assaggiarle. Un monaco del vicino convento di Cheodet, che passava spesso da quelle parti, si stupì nel trovare il solitamente quieto Kaldi in uno stato di evidente eccitazione; appuratane la ragione, pensò di distribuire le bacche rosse ai religiosi d’Etiopia perché se ne servissero come sostegno durante le interminabili ore di veglia destinate alle preghiere notturne. La fama del caffè cominciò dunque a diffondersi per il paese, attraverso i conventi, e pian piano raggiunse altri paesi dell’Africa Orientale, ma per molti secoli ancora nessuno pensò a farne una bevanda: ci si limitava a masticarne le bacche o a tritarle per mescolarle al “ghee”, il burro chiarificato, con cui venivano preparate grosse “pillole” energetiche (pratica ancora in uso in alcune zone del Paese).

Un bel giorno, in un periodo di grande siccità, una distesa di piante di caffè prese fuoco: il potente aroma di questa imprevista “tostatura” suscitò sensazione e un giovane etiope ebbe la felice intuizione di ricavare un infuso dai chicchi arrostiti e macinati. Di fatto, pare non sia andata proprio così: i chicchi di caffè sbarcarono in Yemen (allora Arabia Felix) viaggiando nelle tasche dei soldati etiopi che, tra il 1200 e il 1300, attaccarono il paese. Solo lì e allora, probabilmente nei pressi di Moka (!), si mise a punto il procedimento di tostatura, macinatura e infusione che rese il caffè la nera bevanda che conosciamo e che ben presto si diffuse in tutto il mondo arabo.

Alla fine del 16° secolo il caffè approda in Occidente, e precisamente a Venezia: ma passeranno ancora cento anni prima che diventi un successo commerciale. Il caffè mosse dunque i primi passi grazie alla Chiesa, si diffuse nel mondo islamico attraverso i dervishi, ma nel corso della sua storia fu anche spesso considerato una bevanda proibita: al suo ingresso in Occidente, per esempio, fu osteggiato proprio dalla Chiesa che lo bollava come “bevanda del diavolo”, sia per le sue proprietà eccitanti che per l’enorme diffusione presso i miscredenti.

Occorre precisare che, se l’origine della pianta è indiscutibilmente questa, il procedimento per farne una squisita e corroborante bevanda pare sia da ascriversi agli yemeniti, che entrarono in possesso dei preziosi chicchi rossi solo nel 14° secolo.

cordiali

Il cordiale è, letteralmente, un liquore di origine francese ottenuto per macerazione o infusione di erbe, frutti in alcol etilico o per aggiunta di essenze ad alcool neutro.

In profumeria si usano delle riproduzioni dei liquori.

liquirizia

È una pianta le cui radici hanno la caratteristica di essere aromatiche. Conosciute per le loro virtù medicinali tonificanti, digestive ed emollienti per la gola, le note di liquirizia hanno sfumature anice, leggermente legnose e balsamiche.

Finora questo odore in profumeria non è stato utilizzato in forma naturale ma in riproduzioni semplici o scientifiche.

miele

È la sostanza zuccherina prodotta dalle api a partire dal nettare dei fiori, raccolto e depositato nelle arnie.

Il miele è comparso sulla Terra molto prima dell’uomo, decine di milioni di anni fa, e ha avuto diversi utilizzi nei vari popoli, sia come alimento che per la cura della pelle o l’imbalsamazione dei morti.

In profumeria, per ottenere un effetto miele nelle fragranze, si usa la cera d’api che, per il suo odore di fieno umido e di pelliccia animale, apporta ricchezza alla composizione. Per un aspetto più dolce, si utilizzano delle riproduzioni.

vaniglia

La vaniglia è una pianta lianosa che appartiene alla famiglia delle orchidee, ma è l’unica di esse a non essere coltivata per scopi ornamentali. Conosciuta nell’America Centrale fin dal 13° secolo, i suoi baccelli venivano utilizzati per profumare una bevanda a base di cacao.

Narra una leggenda totonaca (una popolazione messicana dell’epoca precolombiana) che un giovane cacciatore rapì una principessa votata al culto della dea Tonacayohua. I sacerdoti riuscirono a catturare i due giovani e li sacrificarono alla dea. L’erba imbevuta del loro sangue seccò e diede vita a un arbusto dal cui tronco spuntò un’orchidea profumata, l’anima innocente della fanciulla: l’orchidea era la vaniglia, che nacque così dal sangue di una principessa.

Nel 1812 la pianta arrivò al Giardino Botanico di Parigi, ma per lunghi anni non si scoprì il segreto della fecondazione dei fiori che nel Messico avveniva per mezzo di insetti presenti solo in America Centrale. Il problema fu risolto impollinando a mano i fiori grazie all’opera di donne soprannominate “marieuse” (sensale). Questo procedimento ebbe anche l’effetto di togliere al Messico l’esclusività e il primato della coltivazione della vaniglia, che ora appartiene al Madagascar e all’Indonesia.

La procedura di inseminazione è molto complessa e richiede delicatezza e precisione: si realizza manualmente da fiore a fiore e va effettuata al mattino presto perché i fiori sopravvivono solo per qualche ora e quando non c’è umidità che, altrimenti, impedirebbe la fioritura.

Tutto ciò contribuisce a rendere la vaniglia una materia prima particolarmente preziosa.

Esistono diverse varietà di vaniglia: la Bourbon dell’Isola di Réunion produce baccelli di qualità elevata, il cui trattamento deve essere particolarmente accurato (l’olio essenziale che se ne ricava è il più pregiato); la Tahiti è frutto di una produzione molto limitata e quindi di notevole costo; la Tahitensis, una delle migliori qualità, proviene dalla Nuova Guinea. Ogni varietà contribuisce a creare sfumature diverse nei profumi.

A conferire caratteri leggermente diversi alla vaniglia contribuisce anche il metodo di estrazione utilizzato per ricavarne il principio olfattivo: l’assoluto di vaniglia, ottenuto tramite estrazione con solventi volatili o in un metodo artigianale tramite infusione con macerazione in alcool, consente di ottenere un prodotto dal carattere liquoroso e dalla nota misteriosa e amara che pochi intenditori riescono a identificare come vaniglia.

La vanillina è la componente che conferisce alla vaniglia il profumo tipico che evoca i ricordi dell’infanzia: si tratta di un’aldeide aromatica isolata nello studio della vaniglia naturale e sintetizzata per la prima volta nel 1874 dal chimico tedesco Willhelm Haarmann. Trova impiego soprattutto nell’industria alimentare, dati i costi di produzione più economici rispetto alla vaniglia naturale. È quella che ci risulta più familiare con la sua impronta più zuccherosa che evoca l’odore dei dolci.

petit grain

Il termine petitgrain indica la distillazione di una selezione di foglie, fiori, rami e piccoli frutti della pianta dell’arancio amaro: l’odore risultante è molto sfaccettato e conserva le caratteristiche olfattive di tutti i suoi componenti, agrumate, verdi e leggermente legnose.

ambretta

L’ambretta è una pianta perenne comune in Italia dove si può trovare facilmente nei prati o sui margini dei sentieri.

Attraverso la distillazione dei suoi semi, si ottiene l’olio essenziale dalle note olfattive molto ricche, calde, morbide, cipriate e sensuali.

benzoino

Il benzoino è la goccia resinosa di un arbusto originario del sud-est asiatico, lo Styrax, la cui corteccia viene incisa per raccogliere la linfa che cola e solidifica in forma di lacrime.

Ne esistono due qualità diverse, del Siam e di Sumatra. Il primo è la varietà più preziosa, di colore giallastro con sfumature più ambrate e odore finissimo. Si ottiene dallo Styrax Tonkinensis che cresce in Thailandia, Laos, Cambogia e Vietnam. Il Sumatra, invece – che si ottiene dallo Styrax Benzoin, sull’isola di Sumatra – è considerato di minor valore rispetto al precedente e il suo aroma, infatti, è meno pungente e penetrante.

Prima del suo utilizzo in profumeria, il benzoino era usato come cicatrizzante, antisettico ed espettorante e, grazie al suo potere balsamico, ancora oggi è tra gli ingredienti di numerosi rimedi dermatologici e respiratori.

Il benzoino è uno dei componenti della sfaccettatura ambrata, apprezzato per le sue sfumature vanigliate, cremose, un po’ golose. La sua impronta è calda e sensuale, conferisce rotondità e tenuta ai profumi.

IL BENZOINO, L’INGREDIENTE CHE RACCONTA LA STORIA DI UN POPOLO

I tempi e gli investimenti per la coltivazione di questa resina sono enormi poichè gli alberi possono essere incisi solo ogni sette anni. L’azienda svizzera Givaudan, che produce fragranze e profumi, ha sviluppato un programma di educazione per gli abitanti del Laos (il principale paese dello Styrax tonkinensis) come risultato del progetto di etica sociale per proteggere la natura coinvolgendo le persone, l’ambiente e la società. WALK THE BENZOIN ROAD …

betulla

Il nome deriva dal celtico “betu”.

La betulla bianca è molto diffusa in Europa dove raggiunge, a nord, i 65° di latitudine e a sud la Sicilia. Ama il sole, cresce solitaria o a gruppetti nei boschi radi di collina e montagna, associandosi a latifoglie e conifere.

Le diverse parti della betulla sono utilizzate dall’uomo da lungo tempo. Il legno bianco, elastico e resistente è utilizzato per lavori di falegnameria e oggetti di uso domestico. La corteccia è utilizzata nell’industria conciaria.

I maestri guantai profumieri di Grasse recuperavano i ritagli di cuoio dalla lavorazione degli stivali dell’Armata Russa, cuoio che veniva conciato con cortecce di betulla.

La betulla costituisce ancora la materia prima principale della nota cuoio in profumeria.

carota

La carota è una pianta erbacea molto diffusa in Europa, Asia e Nord Africa.

In profumeria, l’olio essenziale ottenuto per distillazione dai semi, conferisce alle fragranze una nota cipriata.

cisto labdano

È un arbusto sempreverde che cresce libero nelle zone costiere del Mediterraneo e soprattutto in Sardegna.

Per vincere la calura estiva, e per evitare l’evaporazione dell’olio essenziale, la pianta sviluppa una resina che ricopre lo strato esterno e ne trattiene l’umidità. La resina viene raccolta in estate, a luglio e agosto, e sottoposta a un procedimento di estrazione per ottenere la materia prima detta, appunto, labdano.

La sensazione olfattiva è di una nota molto densa, liquorosa e apporta alle fragranze una nota ambrata o cuoio.

costus

È la radice di un’erba alta, il cui nome botanico è lappa di Saussurea, che oggi cresce soltanto negli altopiani del Kashmir. Era ben noto nel mondo classico ma oggi è raro in Occidente. Fu molto utilizzato come alimento: i Greci e i Romani lo avevano in antipatia per il suo gusto bruciante ma ne apprezzavano la squisita fragranza e lo utilizzavano nelle prescrizioni mediche.

Il suo nome viene dal Sanscrito. In Cina è usato come ingrediente principale nei bastoncini da bruciare. Ancora oggi è usato come erba medica in alcuni paesi, essendo antisettico e utile contro asma e bronchite.

Il relativo olio è usato in profumeria e a volte in aromaterapia. La sua essenza distillata, dalla nota legnosa-animale, è olfattivamente molto particolare.

elemi

L’elemi è la gomma resinosa che proviene dall’incisione della corteccia di un alto albero tropicale originario delle FIlippine. Era molto usato nel mondo arabo e turco nell’antichità e costituiva un’importante materia prima aromatica, impiegata perfino dagli Egizi nei processi di imbalsamazione

La gomma viene prodotta soltanto durante la stagione delle piogge, quando le foglie iniziano a svilupparsi. Ha odore aromatico simile a quello dell’essenza di finocchio, dal sapore piccante.

In profumeria, l’utilizzo di questa resina tramite distillazione apporta alle fragranze una nota speziata.

fava tonka

La fava tonka, frutto della Dipteryx Odorata, è originaria dell’America Meridionale dove veniva utilizzata per aromatizzare il tabacco. Fu importata dalla Guiana in Francia nel 1793 e coltivata in serra. Oggi Venezuela, Guaina e Brasile ne sono i principali produttori.

I semi della fava tonka vengono immersi nel rhum, per un periodo che dura dalle12 alle 24 ore, e successivamente essiccati. Nel corso di questo procedimento, si si ricoprono di cristalli bianchi dai quali si estrae l’olio essenziale puro.

Le note olfattive della fava tonka appartengono alla sfaccettatura cipriata: sono note ricche, avvolgenti, calde con sfumature di vaniglia e caramello. Un naso più sensibile e attento vi ritrova fieno e tabacco, qualcosa di pulito e caldo insieme.

La fine del 19° secolo segnò una svolta decisiva nella creazione dei profumi: grazie allo sviluppo della chimica organica furono isolate le molecole odorose costituenti il principio olfattivo di molte materie prime vegetali. La cumarina, componente olfattivo della fava tonka, fu scoperta nel 1868.

galbano

La pianta del galbano (Ferula Galbanifera) appartiene alla famiglia delle ombrellifere e cresce in Iran e in Afghanistan.

Le radici dei cespugli di galbano contengono una resina gommosa di colore marrone giallastro. Diffonde un’essenza volatile e balsamica, gradevole, aromatica, leggera come una foglia, verde e delicata.

La gomma di galbano è raccolta per incisione dalle radici della pianta. La gomma è distillata per ottenere un’essenza o trattata con solventi per ottenere un resinoide.

In profumeria, apporta alle fragranze una nota verde.

incenso

Il fumo dell’incenso ha sempre avuto un valore fortemente simbolico: bruciato sull’altare o nell’incensiere, veniva offerto come simbolo di venerazione e di preghiera. Ma anche i re lo apprezzavano e ne impregnavano la sala del trono, le donne ne conoscevano il potere di seduzione.

L’incenso è la resina naturale della Boswellia Sacra, il nome scientifico dell’albero dell’incenso, una pianta gracile ma longeva che trasuda resine aromatiche. Ha fiori a grappolo con cinque petali e frutti a drupa. All’interno del tronco corrono abbondanti canali resiniferi dai quali stilla, lungo le incisioni praticate dall’uomo, il succo bianco e lattiginoso che, allo stato solido, costituisce l’incenso.

In autunno, si raccoglie il prodotto trasudato dalle incisioni praticate durante l’estate: è l’incenso bianco più puro e più pregiato. Un secondo raccolto si fa in primavera sulle incisioni fatte in inverno. L’incenso ha un colore rossastro e non vale quanto il precedente.

L’incenso degli alberi più vecchi è anche il più profumato. Quello più pregiato è composto dall’aggregazione di più lacrime.

L’albero dell’incenso vive molto a lungo, raggiunge circa i tre metri di altezza, bisogna aspettare circa 8/10 anni prima di poter cominciare a sfruttare una pianta.

legno di cedro

È un albero sempreverde originario delle zone montuose dell’Atlante.

Esistono diverse varietà botaniche che non hanno alcuna parentela con l’agrume omonimo. La più famosa e antica è quella libanese, oggi una specie protetta che non permette quindi l’estrazione dell’olio essenziale, sostituito con la variante Atlas, dalle sfumature affumicate, animali e canforate.

Il cedro della Virginia ha un’essenza legnosa secca dall’inconfondibile odore di matita, mentre il cedro del Texas è olfattivamente simile all’Atlas ma più dolce.

In profumeria si utilizzano differenti essenze di legno di cedro ottenute dalla distillazione dei frammenti della corteccia da cui si ricava un odore secco che evoca la segatura.

legno di guaiaco

Il guaiaco è un piccolo albero selvatico originario del Sudamerica, cresce in Argentina e in Paraguay. Il suo legno è molto duro ed è uno dei più pesanti e resistenti al mondo.

L’essenza è ottenuta per distillazione con vapore dei frammenti di legno e della segatura. In profumeria è usato come fissante o per creare delle note vaniglia o sandalo.

legno di rosa

Rosa e legno di rosa: due termini da non confondere…

La rosa è il fiore per eccellenza: nulla è più evocativo del nome stesso della rosa, sia per il colore, sia per il profumo. Ma il legno di rosa viene ricavato dalla stessa pianta?

L’essenza di legno di rosa non ha alcuna affinità botanica con il fiore della rosa, ma viene ottenuta per distillazione dei frammenti di legno dell’Aniba Rosaedora, un albero originario della foresta tropicale amazzonica, dal legno di colore rosato (da cui il nome). Molto utilizzata nel 19° secolo (ne venivano prodotte annualmente moltissime tonnellate) fu poi abbandonata. Attualmente se ne producono limitate quantità, soprattutto in Brasile. L’essenza ha un alto contenuto di linalolo, molecola dall’odore fiorito con note agrumate e speciate.

Ma il legno di rosa non finisce di stupire: possiede infatti una sorprendente nota fresca ed è classificato tra le materie prime aromatiche anzichè tra quelle legnose, proprio per le sue caratteristiche olfattive.

legni del frutteto

Fanno parte di questa voce, per esempio, le piante dei fiori di mandorlo, di pompelmo, di ulivo.

legni esotici

Fanno parte di questa voce, per esempio, i legni di palissandro, di palma, di sicomoro, di teak, di mogano, di massoia, di balsa.

mirra

È un arbusto originario delle regioni semiaride e aride dell’Africa orientale, dell’Arabia e del subcontinente indiano.

Nell’Egitto antico si racconta che la mirra provenisse dalle lacrime di Horus, il dio del cielo. Si dice che costituisca un ponte tra “il cielo e la terra” per il suo effetto calmante sul sistema nervoso, che acquieta la mente e purifica lo spirito.

La corteccia secerne naturalmente una resina. Per aumentarne la resa, i contadini provocano delle incisioni nella corteccia per far trasudare le “lacrime” che vengono raccolte direttamente dal tronco o quando cadono a terra.

Trattando gli arbusti si possono ottenere sia un’essenza, sia un resinoide. La nota è fresca ed esperidata con un fondo di sottobosco.

muschi vegetali

Percorrendo i sentieri che attraversano la valle dell’Inferno, sulle pendici del Vesuvio, cosa vi aspettereste di trovare?

Vicino alla caldera del Monte Somma, la valle fu invasa dalla lava dell’ultima eruzione del 1944 ma non presenta soltanto rocce scure e colori tristi e desolati: è stata colonizzata dallo Stereocaulo Vesuvianum, un lichene che l’ha ricoperta di un soffice tappeto argentato. Esso prospera sulle pendici dei vulcani, su lave relativamente giovani, che ricopre con un primo velo vegetale preparando la strada a successive formazioni più complesse, come valeriana, ginestra e acetosella. Nel Settecento, come racconta un viaggiatore francese dell’epoca, i muschi vegetali della zona vesuviana, ricchi di mucillagini, venivano utilizzati nella composizione delle prime ciprie italiane e, nel secolo successivo, di profumi romantici, ispirati alla natura e al fascino delle foreste.

I muschi vegetali nascono dalla simbiosi tra un’alga e un fungo, sono difficili da coltivare, anche se crescono naturalmente in ambienti incontaminati.

Sostanza nota fin dall’antichità, il muschio vegetale veniva importato dalla Grecia e da Cipro in Egitto, dove era impiegato nel processo di conservazione delle mummie. Un tempo, i licheni venivano raccolti per profumare sacchetti e cuscini o venivano messi nei potpourri, con radici di giaggiolo, chiodi di garofano e petali di fiori. Grazie alle sue virtù antimicrobiche, gli estratti di Lichene d’Islanda sono utilizzati come deodoranti in preparati fitocosmetici.

Il termine muschio in italiano porta spesso a confusione linguistica: si ha infatti l’abitudine di definire in questo modo sia la sostanza di origine vegetale sia quella di provenienza animale.

Materia prima dall’odore molto potente, di forte persistenza, con sentori di sottobosco che evocano la terra, il legno, le foglie umide e le passeggiate autunnali, il muschio è uno dei componenti della sfaccettatura legnosa. Ha soprattutto un ruolo determinante nelle composizioni chypre e fougère che – senza muschio di quercia o di albero, elemento olfattivo caratterizzante di queste strutture – non esisterebbero.

Il muschio di quercia si raccoglie in inverno e in primavera, prima della crescita delle foglie. Al momento del raccolto non ha odore percepibile, deve essere essiccato e lasciato riposare per un breve periodo. Viene poi sottoposto a estrazione con solventi volatili. La concreta, e quindi l’assoluta che se ne ricava, è relativamente complessa: partecipano infatti all’odore più di 80 sostanze.

Potenziale allergene, si raccomanda di non utilizzare l’assoluta o il resinoide, individualmente o in combinazioni, a più dello 0,1% in una composizione. Viene sempre più spesso sostituito dall’Evemyl, suo principale costituente, anche nella formulazione dell’accordo chypre, contribuendo a rendere questa sfumatura, raffinata e decisa, in linea con le attuali tendenze.

La specie Evernia prunastri è denominata muschio di quercia o muschio quercino. La qualità più pregiata di muschio di quercia per gli usi destinati alla profumeria, nel recente passato proveniva soprattutto dalle foreste della ex Yugoslavia e dell’Europa Centrale. Cresce anche in Marocco (regione dell’Atlante), in Spagna e in Francia, particolarmente in Alvernia, dove anticamente trovava impiego nella medicina druidica.

Il termine muschio in italiano porta spesso a confusione linguistica: si ha infatti l’abitudine di definire in questo modo sia la sostanza di origine vegetale sia quella di provenienza animale.

Materia prima dall’odore molto potente, di forte persistenza, con sentori di sottobosco che evocano la terra, il legno, le foglie umide e le passeggiate autunnali, il muschio è uno dei componenti della sfaccettatura legnosa. Ha soprattutto un ruolo determinante nelle composizioni chypre e fougère che – senza muschio di quercia o di albero, elemento olfattivo caratterizzante di queste strutture – non esisterebbero.

Il muschio di quercia si raccoglie in inverno e in primavera, prima della crescita delle foglie. Al momento del raccolto non ha odore percepibile, deve essere essiccato e lasciato riposare per un breve periodo. Viene poi sottoposto a estrazione con solventi volatili. La concreta, e quindi l’assoluta che se ne ricava, è relativamente complessa: partecipano infatti all’odore più di 80 sostanze.

Potenziale allergene, si raccomanda di non utilizzare l’assoluta o il resinoide, individualmente o in combinazioni, a più dello 0,1% in una composizione. Viene sempre più spesso sostituito dall’Evemyl, suo principale costituente, anche nella formulazione dell’accordo chypre, contribuendo a rendere questa sfumatura, raffinata e decisa, in linea con le attuali tendenze.

La specie Evernia prunastri è denominata muschio di quercia o muschio quercino. La qualità più pregiata di muschio di quercia per gli usi destinati alla profumeria, nel recente passato proveniva soprattutto dalle foreste della ex Yugoslavia e dell’Europa Centrale. Cresce anche in Marocco (regione dell’Atlante), in Spagna e in Francia, particolarmente in Alvernia, dove anticamente trovava impiego nella medicina druidica.

oud

Detta anche agarwood, è la resina che si forma negli alberi di Aquilaria e Gyrinops (appartenenti ai sempreverdi del sudest asiatico) quando vengono infettati da un particolare tipo di muffa, come difesa immunitaria. L’albero, se assalito da parassiti, insetti, muffe o sottoposto a fenomeni naturali intensi, produce una resina che protegge il legno. Tuttavia, solo una parte degli alberi di Aquilaria produce l’oud la cui presenza si può verificare dopo avere tagliato l’albero stesso.

L’olio essenziale si ottiene dalla distillazione a vapore della resina ed è una materia prima molto costosa perchè rara. Le note olfattive sono molto ricche e hanno caratteristiche legnose, balsamiche, speziate, animali.

papiro

È una pianta palustre originaria dell’Africa tropicale, molto diffusa nel delta del Nilo dove ha avuto origine il suo impiego come materiale di supporto alla scrittura.

In profumeria, apporta alle fragranze una nota verde.

patchouli

Quest’erba fragrante, dalle morbide foglie ovali, cresce fino all’altezza di circa un metro.

Due o tre volte all’anno le foglie vengono tagliate, seccate e imballate per l’esportazione e la distillazione dell’olio. L’olio migliore è quello distillato fresco vicino alla piantagione. Quello ottenuto dalle foglie importate in Europa ha una qualità inferiore dell’80%.

Il patchouli è un ottimo fissativo, dona al profumo una nota muschiata ed esotica e costituisce spesso un ingrediente importante nelle miscele orientali.

L’olio essenziale ha un colore arancio bruciato e ha un odore dolce, erbaceo, speziato e balsamico.

Recentemente il patchouli è utilizzato anche come una fragranza a sé stante, spesso insieme al vetiver.

piante succulente

Meglio conosciute come piante grasse, sono quelle piante dotate di tessuti “succulenti” tramite i quali possono immagazzinare grandi quantità di acqua. Alcuni esempi sono l’aloe, il cactus, il fiore di agave…

In profumeria apportano alle fragranze una nota verde.

rabarbaro

Il rabarbaro è una pianta erbacea delle regioni temperate, i cui peduncoli della foglia sono consumati in cucina, in particolare sotto forma di torta e di confettura.

In profumeria, invece, si utilizza una riproduzione che apporta alle fragranze una nota verde e fruttata, leggermente acida e fiorita.

riso

Il riso è una pianta erbacea annuale di origine asiatica.

Troviamo in questa voce la polvere di riso, normale o Basmati, i vapori di riso, i fiori di riso, …

In profumeria, il riso apporta alle fragranze una nota cipriata.

sandalo

Il sandalo è un alberello parassita che raggiunge i nove metri di altezza: dopo circa 30 anni si taglia e se ne estrae il prezioso olio essenziale. Si trova soprattutto nell’Asia tropicale: in India (dove si hanno le maggiori produzioni di olio), Sri Lanka, Indonesia, Malesia e Taiwan.

Il sandalo è conosciuto da almeno 4.000 anni e se ne è sempre fatto un larghissimo uso, sia come cosmetico che come incenso e ingrediente nei preparati per l’imbalsamazione. Era utilizzato in farmaceutica anche come disinfettante.

Il pregio del legno di sandalo risiede nella bontà del suo aroma e nell’effetto che esso provoca nelle sfere emotive e psichiche. È una fragranza legno-resinosa di grande ricchezza e corposità. Il suo profumo, molto persistente, evoca pulizia spirituale. Questa essenza stimola la parte destra del cervello, favorisce la creatività e l’intuizione. Il suo aroma è legato alla serenità, alla meditazione e alla saggezza.

L’olio essenziale si ricava per distillazione a vapore delle radici e del cuore del legno polverizzato ed essiccato. La resa olfattiva è intensa, legnosa e con un’avvolgenza lattea.

saso

Il saso, un albero dalle foglie decidue originario della regione desertica di Kashgar nella Cina occidentale, non è comunemente diffuso nelle altre regioni. Ha un fiore piccolo, giallo, con 4 petali di circa 7-8 millimetri, con un calice a forma di campana, molto profumato.

Secondo la tradizione popolare cinese, alle giovani spose era proibito uscire nella stagione della fioritura del saso per paura che venissero eccitate dalla sua fragranza seducente.

Il suo alto contenuto di estere produce un aroma dolce, fruttato. Contiene anche una profumazione animale simile al castoreo. La combinazione di queste due note profumate crea una fragranza intensa e persistente.

tabacco

È un prodotto ottenuto dalle foglie delle piante del genere Nicotiana. La germinazione dei semi di tabacco è attivata dalla luce solare: i semi quindi sono sparsi al suolo e non interrati.

In profumeria, si usano le foglie per ottenere l’olio essenziale che apporta alle fragranze una nota cuoio.

vetiver

L’erba del vetiver è una pianta tropicale spontanea. La peculiarità di questa specie è l’apparato radicale, costituito da una grande massa di radici fibrose e resistenti che si accrescono verticalmente fino a profondità elevate – anche 5 m – senza svilupparsi lateralmente, così da non creare competizione con la vegetazione circostante. La varietà coltivata è sterile e questo impedisce che si diffonda nell’ambiente, prevenendo così la contaminazione della flora locale. La profondità e la robustezza dell’apparato radicale del vetiver ha trovato applicazione industriale contro l’erosione del terreno.

Se chiedete a qualcuno in India che cosa è il vetiver, avete buone probabilità di ottenere uno sguardo vacuo. Ma parlate di khus e la maggior parte della gente sarà tutto un sorriso. Pare che questa erba abbia una fragranza dolce e fresca in grado di smorzare la calura estiva. Ecco perchè per secoli gli Indiani usavano stuoie di vetiver (o khus) nelle loro case: uno spruzzo di acqua aromatizzata era sufficiente per impedire al caldo vento estivo di entrare.

L’olio essenziale di vetiver si estrae mediante distillazione a vapore dai grappoli di Andopogon Squarrosus, una varietà coltivata a Haiti, Giava e La Reunion. Nella profumeria moderna viene utilizzato soprattutto il vetiverile, molecola di sintesi ottenuta dall’olio essenziale.

Come mai le spezie racchiudono in sè, così potente, il fascino e l’esotico mistero dei loro paesi d’origine? Come mai basta un pizzico di cannella, di noce moscata, di chiodi di garofano, di cumino, per evocare paesaggi di luoghi lontani, sapori, colori e odori al tempo stesso familiari e arcani? Le spezie possiedono il magico potere di trasportarci lontano, di ricreare nel nostro immaginario atmosfere da “mille e una notte” cariche di seduzione.

Da sempre considerate un genere di lusso, utilizzate soprattutto in cucina e per le loro virtù medicinali, le spezie sono conosciute e apprezzate sin dai tempi più remoti. Merce di scambio a volte più ricercata dell’oro, furono uno dei motivi che spinsero mercanti ed esploratori a ricercare nuove rotte commerciali intorno al mondo. Gli Egizi usavano erbe e spezie per l’imbalsamazione e per la cosmesi del corpo; i Fenici le rivendevano in tutto il Mediterraneo; per secoli gli Arabi furono gli intermediari privilegiati negli scambi con l’Oriente e l’Africa a sud del Sahara e mantennero segreta la provenienza delle spezie per assicurarsene l’esclusiva. Nel Rinascimento, Venezia e Genova divennero i principali centri dove le spezie affluivano per poi raggiungere tutta l’Europa. Nel 15° secolo, i portoghesi scoprirono nuove rotte verso Oriente e aprirono la rotta delle spezie, la via marittima che dall’Europa portava all’India e oltre, fino alle Isole delle Spezie (Molucche). Sulla nuova via commerciale venivano importate soprattutto spezie come il pepe, i chiodi di garofano, la noce moscata e la cannella. La scoperta della rotta di circumnavigazione dell’Africa e la fondazione della Compagnia delle Indie Orientali tolsero definitivamente il monopolio del commercio delle spezie ai porti del bacino del Mediterraneo.

Anche la scoperta del Nuovo Mondo aprì nuove frontiere: Cortes riportò dal Messico la vaniglia e il cioccolato e gli Spagnoli piantarono lo zenzero nelle loro nuove colonie. Attualmente l’India è ai vertici mondiali nell’esportazione di spezie (principalmente pepe, cardamomo, zenzero, cumino e curry) seguita dall’Indonesia (pepe, noce moscata, cardamomo), Brasile (pepe), Madagascar e Malaysia (pepe e zenzero). Ma le spezie non hanno accompagnato la storia dell’uomo solo da un punto di vista puramente culinario o medicinale: sono state utilizzate in cosmetici e unguenti profumati sin dai tempi degli antichi Egizi. Alle composizioni profumate della profumeria moderna, le spezie conferiscono un carattere deciso, caldo e passionale a profumi maschili e femminili di grande forza. Mai troppo preponderante in un profumo, in abbinamento ad esempio con i fiori, la sfaccettatura speziata ne esalta il fascino e la carica di seduzione con calorosa esuberanza; sottolinea con brio il tocco etnico dei legni; evidenzia con intensità la ricchezza opulenta, misteriosa e avvolgente delle note orientali. Vi sono spezie utilizzate più frequentemente nelle fragranze femminili, come cannella e bacche rosa e altre considerate più “maschili” come il cardamomo, il pepe nero e il coriandolo.

Nella seconda metà dell’800, le grandi scoperte della scienza portano una svolta determinante nella profumeria: i ricercatori isolano, da sostanze naturali vegetali e animali, molte molecole olfattivamente interessanti che portano all’invenzione di prodotti senza eguali in natura.

Natura e scienza sono legate indissolubilmente tra loro e si sostengono a vicenda: la natura produce molecole odorose che danno vita a meravigliosi profumi; la scienza permette di riprodurre gli odori della natura fissandone le caratteristiche, preservando le specie a rischio di estinzione.

L’utilizzo di molecole odorose di sintesi ha ampliato la scelta dei nasi che oggi possono contare su una “collezione” di oltre 5.000 materie prime tra le quali scegliere quelle più adeguate alla loro idea di creazione. Le molecole di sintesi sono usate non per il loro odore ma per dare un effetto d’insieme alle composizioni olfattive.

La produzione di ogni nuova molecola rappresenta investimenti consistenti per anni di ricerca, seguiti da processi di fabbricazione spesso lunghi e complessi, test di tossicità e registrazioni di costosi brevetti prima di ottenere sostanze che permetteranno di esprimere nuove emozioni.

E la ricerca non si ferma mai. Nuovi orizzonti si profilano con i risultati ottenuti dalla chimica chirale fondata sul processo di sintesi asimmetrica, che permette di isolare e produrre molecole innovative (enantiomeri), come alcune note fruttate o di musk, dalle prestazioni olfattive molto elevate. Per lo sviluppo di tali metodi, il professore Ryoji Noyori, membro del consiglio di amministrazione di Takasago Giappone ha diviso il premio Nobel per la chimica nel 2001 con William S. Knowles e K. Barry Sharpless.

Ecco alcune invenzioni della scienza tra le più significative.

ALDEIDE

Sintetizzata nel 1903 dal chimico francese Auguste Darzens, questa sostanza rimase nei cassetti dei ricercatori fino al 1921, quando entra nella composizione di un profumo archetipo per eccellenza, Chanel N° 5. Evoca una nota fresca molto particolare, verde e metallica.

CALONE

Le note ozoniche/marine sono nate grazie alla scoperta, nel 1974, di una molecola “dall’odore di mare” con effetti iodati e acquatici: la calone. La capostipite delle note marine di sintesi è la base di molte fragranze che, dalla fine degli anni ’80, inaugurarono il trend acquatico in profumeria: Cool Water Davidoff (1988), New West for Her di Aramis (1990), Acqua di Giò di Giorgio Armani (1996) e molti altri.

CUMARINA

Componente olfattivo della fava tonka scoperto nel 1868. Emana un odore dolce, erbaceo e speziato, simile alla vaniglia. Si possono ritrovare anche note fieno e tabacco.

METILIONONE

È la molecola scoperta nel 1893 dalla condensazione del citral, componente principale della citronella, con un acetone. È l’elemento indispensabile per ricreare il profumo del fiore di violetta e ha consentito di ampliare gli strumenti del creatore di profumi per lo sviluppo delle note cipriate.

MUSK

Il musk nasce come una molecola odorosa scoperta dai chimici nel cervo muschiato himalaiano (Moschus Moschiferus), il quale racchiude naturalmente questa sostanza odorosa (fortemente animale, erotica, intensa e conturbante) in una ghiandola vicina ai genitali che viene disseminata durante la stagione degli amori come un messaggio, una specie di carta d’identità olfattiva dall’effetto afrodisiaco.

Essendo un animale molto raro e in via d’estinzione, verso la fine dell’800 venne realizzata la prima sintesi chimica di molecole che riproducono le note olfattive del musk: i nitro muschi, il musk cetone, lo xylene, soppiantati poi da altre molecole ritenute più sicure, per esempio il cashmeran.

Nell’evoluzione delle varie molecole di sintesi, la nota animale del musk si è via via “ripulita” assumendo una connotazione olfattiva sempre più delicata e trasparente, meno animale.  Oggi, per esempio, viene comunemente chiamato muschio bianco ciò che ha odore di pulito, quasi di bucato appena fatto. Il musk oggi apporta ai profumi una nota di pulito, di pelle, molto sensuale.

VANILLINA

Isolata dalla vaniglia e dal legno di guaiaco, questa molecola è una delle più grandi scoperte della profumeria datata 1876. Dal punto di vista chimico è una aldeide e si presenta, a temperatura ambiente, come un solido cristallino bianco dal caratteristico aroma. È usata nelle fragranze dal carattere esotico e sensuale.

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