Il primo antenato, il “nonno” per così dire degli spruzzatori, affettuosamente chiamato anche vaporizzatore a “pouf”, compare sulla scena agli inizi del 1900 con lo sviluppo del caucciù, materiale di cui era costituita la pompetta a forma di goccia (o pera), abbellita di una maglia e di fiocchi di seta. Questa nuova forma di erogazione tramandava la poesia e la grazia del rituale della profumazione, sino a quel momento compiuto con lo stilo di vetro inserito nel tappo del flacone.
Attorno agli anni ’60 l’industria farmaceutica apre a un’innovazione, l’aerosol a propellente, che genererà una vera e propria rivoluzione nel mondo della profumeria. Grazie a questa trasformazione del packaging, più economica e performante, se ne estenderà l’uso fino ai prodotti per la casa.
La graffatura della bocca rendeva la chiusura ermetica e garantiva l’inviolabilità del contenitore. Non era quindi possibile svuotarlo per sostituire il profumo originale con una copia ed evitava pertanto la possibilità di contraffazioni. Accessoriamente impediva il consumo del profumo come bevanda alcolica.
Tuttavia, il propellente allora maggiormente utilizzato, il freon, venne identificato come uno dei responsabili della degradazione dello strato di ozono dell’atmosfera e quindi, dal 1989, fu completamente bandito dalle applicazioni per uso industriale e quotidiano e sostituito da gas meno dannosi come butano e propano. Questa attenzione ambientalista porta alla nascita di una nuova generazione di vaporizzatori, i no gas che, dagli anni ’80 -’85, hanno gradualmente preso uno spazio sempre più rilevante, soprattutto nel campo della profumeria alcolica.