CATERINA SFORZA

Le corti italiane nel 15° secolo, legate da rapporti di parentela e relazioni diplomatiche, sono in fitto rapporto tra loro. In particolare, le formule e i prodotti di cosmesi sono oggetto di scambio tra le corti stesse, per ottenere una “imperitura salute e bellezza”.

Caterina Sforza si occupa di erboristeria, medicina, cosmetica e alchimia: il suo libro Experimenti è composto da ricette varie che illustrano procedimenti per combattere le malattie e per conservare la bellezza del viso e del corpo.

Risulta altamente probabile che sia avvenuto un incontro tra Caterina Sforza e Leonardo a Milano, alla corte di Ludovico il Moro nel 1487: il foglio Tema RL 12283r, simile ai manoscritti A e B dell’Istituto di Francia in cui compare la ricetta “A fare capelli di tanè”, è analogo a una ricetta di Caterina Sforza scritta nei suoi Experimenti.

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Caterina Sforza “… da ogni parte chiede, riceve e, richiestane, in ogni parte spedisce lisci, belletti, polveri, profumi e medicine. Alla marchesa di Mantova (Isabella d’Este), carpisce il segreto di una ricetta per il volto e per le mani, e ne spedisce colà un’altra per fare l’oro di diciannove carati. Ai malati vicini e conoscenti manda consigli e medicine”.

“Mi presento: sono Caterina Sforza.

Ho avuto una vita tormentata, instabile, piena di eccessi, tra battaglie e assedi, tra impegni di governo e la cura dei miei figli… ma ho anche trovato il tempo di occuparmi di farmacia, di medicina, di chimica e di profumeria. Mi sono circondata di medici e scienziati e ho indagato sui segreti dell’alchimia.

Nel manoscritto Experimenti de la Exelentissima Signora Caterina da Furlj matre de lo illuxtrissimo signor Giovanni de Medici ho raccolto 454 ricette: 358 riguardano la medicina, 30 la chimica, 66 la cosmesi. Ci sono rimedi per favorire la gravidanza, altri per provocare l’aborto, soluzioni per aiutare la memoria e per guarire la melanconia. Altre ricette, criptate, riguardano la sfera sessuale e sono studiate per aiutare il piacere nelle pratiche amorose, per rimuovere le inibizioni e, all’occorrenza, per riacquistare la verginità perduta.

Grazie agli scambi con nobildonne e fattucchiere, ho esplorato i misteri della cosmetica e ho dedicato molto tempo agli “experimenti”, tanto da diventare realmente competente in questo campo: nel manoscritto ci sono i miei “secreti” per mantenere la linea, le acque a far bella per detergere e profumare la pelle, per schiarire e levigare il viso, per pulire i denti, per rassodare i seni, per tingere i capelli, per depilare, tonificare e idratare.“

ISABELLA D’ESTE

Ferrara, 17 maggio 1474 – Mantova, 13 febbraio 1539

Tra le figure più rilevanti del tempo, non solo per quanto riguarda la cosmesi ma per tutto l’universo femminile nel contesto sociale, c’è Isabella d’Este, Signora di Mantova.

Grazie alla fitta corrispondenza intrattenuta con molti personaggi, si deduce l’interesse di Isabella per i profumi e i belletti, come ricorda lo storico Giancarlo Malacarne nel suo volume “I fruscianti vestimenti e scintillanti gioie”.

Di notevole rilievo è il carteggio tra Leonardo e Isabella, in realtà costituito più che altro da richieste della Signora di Mantova al da Vinci. Leonardo, nel corso del suo soggiorno a Mantova, raffigura in un disegno Isabella che, più volte ma inutilmente, lo supplica di trasformare quel ritratto in dipinto.

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“Eccomi, sono Isabella d’Este, una delle donne più autorevoli del Rinascimento.

I miei interessi sono molti: la musica, la letteratura, la scienza culinaria, i gioielli e le pietre preziose, l’abbigliamento fantasioso, le acconciature. Ma, più di tutto, ho una vera passione per la cosmetica e i profumi. Nel mio laboratorio, sperimento e realizzo ricette di cosmesi, creme, ciprie e saponi, e “acque de odore” di diverse qualità: ambra, muschio, benzoino, acque rose, nanfe, damaschine…che uso per profumare le case e i tessuti.

Mi piace dedicarmi alla composizione di monili profumati: non posso fare a meno delle “balotte de odore”, quei profumi solidi che si portano in bussolotti preziosi appesi alla cintura, o dei “brazaletti de odore”, dei preziosi bracciali nei quali inserisco pastiglie odorose che profumano sul corpo. Nei miei viaggi a Genova, ne approfitto per comprare tutto ciò che mi serve per realizzare questi particolari ornamenti.

E poi, detto la moda dei guanti “conzati”, messi cioè a lungo in ammollo in sostanze profumate e olii, affinché si impregnino completamente mantenendo allo stesso tempo la loro morbidezza e degli “stechi” da denti profumati.

Avete mai sentito parlare dei gati zibetari? Il cardinale Borgia, futuro papa Alessandro VI, mi ha donato uno zibetto e, insieme ad altri arrivati dall’oriente, ne ho fatto un allevamento. Questi preziosi animaletti producono una sostanza odorosa che io uso per farne profumi, dopo un raffinato processo di lavorazione che muta l’odore sgradevole in essenza profumata.

Per questo sono conosciuta come “la miglior perfumera del mondo”.

CATERINA DE’ MEDICI

Firenze, 13 aprile 1519 – Castello di Blois, 5 gennaio 1589

Pronipote di Lorenzo il Magnifico e ultima del ramo principale dei Medici.  Di padre fiorentino, Lorenzo duca di Urbino, e di madre francese, Maddalena de La Tour d’Auvegne (ramo Borbone), per tutta la vita Caterina trae dalle due culture una fonte continua di energia costruttiva.

Rimasta orfana a soli sette mesi, trascorre un’infanzia avventurosa, senza l’amore della famiglia. Si forma a Firenze e a Roma dal 1519 al 1533 e, a soli quattordici anni, va in sposa al principe Enrico d’Orléans. È un matrimonio dettato da ragioni politiche per sistemare alcune operazioni riguardanti lo Stato Vaticano, Firenze e i rapporti dei Medici con gli Orléans. Sradicata da Firenze, si ritrova improvvisamente trapiantata in un paese e in una corte ostili. Considerata un corpo estraneo sia dall’aristocrazia che dal popolo, trova l’infelicità anche perché umiliata da un marito troppo occupato con le sue amanti. Caterina è una donna di straordinaria intelligenza ma considerata da tutti non di bell’aspetto.

Il mecenatismo di Caterina si svolge in un periodo di tensioni religiose e sociali sempre più drammatiche che finiscono con l’estinzione della dinastia dei Valois. In questo scenario sanguinoso, a cui Caterina deve il marchio infamante della reine noir – la regina nera – (si dibatte ancora sulle sue responsabilità del massacro della notte di San Bartolomeo), è considerata una donna attaccata al potere. Indossa il lutto in nero per quasi tutta la sua vita e i pittori la ritraggono sempre in modo negativo, con un volto severo e decisamente malvagio.

Caterina, vittima ed eroina, madre affettuosa e capo determinato delle strategie politiche anche durante il governo dei figli, resiste fieramente tentando di conciliare posizioni e culture diverse. È sicuramente una donna di straordinaria personalità e carisma e influenza i costumi della Francia, aprendo la strada all’arte della profumeria.

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“Sono appena arrivata a Marsiglia per sposarmi con Enrico, duca d’Orléans e futuro re di Francia. Ho attraversato una città fetida e maleodorante, ma fortunatamente ho con me il mio pomander profumato: questa preziosa sfera d’oro contiene unguenti ed erbe profumate, lo tengo appeso al collo e l’ho portato dall’Italia dove si chiama “melograno odoroso”.

Insieme a me è arrivato Renato Bianco, il mio chimico-profumiere personale che, negli anni, diverrà il capostipite della profumeria francese. Prende il nome di René le Florentin e la sua bottega di profumi e spezie, in Pont Saint-Michel a Parigi, ha un enorme successo. Su mio suggerimento, inizia anche la coltivazione di fiori a Grasse per poter ottenere da questi gli olii essenziali.

A lui mi rivolgo anche per commissionare veleni per chi insidia il mio trono… Conoscete la storia dei guanti profumati imbevuti di veleno regalati a Jeanne d’Albret, madre di Enrico IV, che ne hanno provocato la morte? I nobili di quest’epoca usano portare la biancheria intima nel negozio di Renato Bianco affinché i commessi la profumino, impregnando i tessuti con sostanze odorose. Ebbene, Renato ha anche inventato una sostanza, con cui impregna la biancheria, che reagendo al calore del corpo e al sudore, diventa un potentissimo acido e, dopo atroci sofferenze, conduce alla morte.

A corte, oltre all’uso di essenze e profumi, ho portato anche la moda dei guanti profumati, che io uso spesso, e che il profumiere aromatizza con un balsamo profumato; questo serve a eliminare il cattivo odore dovuto ai metodi di concia della pelle e a mantenere la pelle delle mani idratata.

La prima acqua profumata creata con Renato Bianco è l’Eau de la Reine – l’Acqua della Regina – con essenze di agrumi, soprattutto di bergamotto di Calabria, che tutti conosceranno con il nome di Acqua di Colonia. La ricetta originale è custodita nel luogo in cui è stata creata, la speziera del convento dei frati domenicani, diventata poi Officina Profumo Farmaceutica di Santa Maria Novella.

Un’altra delle mie fragranze preferite è una miscela di muschio, radici di viole e spezie. Questo profumo dall’aroma esotico si chiama Frangipane, dal nome di un altro mio profumiere.

Ma a corte non ho portato solo l’arte cosmetica: con me sono arrivati in Francia anche gli aromi e i profumi della cucina mugellana del Casentino, della piana tra Firenze e Pistoia e di altre zone della Toscana. Sono giunta a Parigi con uno stuolo di cuochi, pasticceri e anche con un gelataio di Urbino, Ruggeri, che ha fatto conoscere il gelato in Francia. Ho introdotto a corte l’uso della forchetta perché i francesi, prima, mangiavano ancora con le mani. Le ricette fiorentine sono quindi diventate francesi anche nel nome: il “papero al melarancio” è diventato il celeberrimo canard à l’orange; la “salsa colla” si chiama béchamel e le “pezzole della nonna” crepes alla fiorentina; la “zuppa di cipolle” diventa soupe d’oignons e le modeste frittate si chiamano omelettes.

E mentre in Italia Isabella d’Este introduce le mutande a corte, qui in Francia sono io che diffondo l’uso di questo indumento intimo presso le dame… per me che amo molto cavalcare all’amazzone, questo è un indumento essenziale.“

 

LUCREZIA BORGIA

Subiaco, 18 aprile 1480 – Ferrara, 24 giugno 1519

Passata alla storia come la femme fatale per eccellenza in quanto donna di incredibile fascino, bellissima, carismatica, intrigante e sempre al centro di dicerie e pettegolezzi nelle corti rinascimentali, Lucrezia è la figura emblematica del primo Rinascimento.

Figlia illegittima del futuro papa Alessandro VI, cognata nonché acerrima rivale di Isabella d’Este, ha avuto tre matrimoni e dato alla luce otto figli. L’ultimo parto è stato fatale: è morta infatti di setticemia a soli trentanove anni dopo averne trascorsi diciassette a Ferrara come duchessa estense, aver vitalizzato la corte, intessuto rapporti con letterati e artisti, diretto lo stato in assenza dello sposo, sostenuto e fondato monasteri e aver protetto poveri e indigenti.

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Alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano è custodita, all’interno di una preziosa teca, una lunga ciocca di capelli dorati di Lucrezia Borgia. Durante l’Ottocento, la ciocca è una sorta di reliquia pagana, richiamando numerosi letterati e poeti che passano da Milano: lo scrittore inglese George Byron, nel 1816, ne resta colpito a tal punto da definirli “più simili ad oro che ad altro”. Nel Novecento, si ricorda l’emozione di Gabriele D’Annunzio, in visita all’Ambrosiana nel 1926, davanti alla ciocca.

“Sono a Roma e sto per partire per Ferrara, dove convolerò a nozze per la terza volta. Il viaggio è lungo, ben 27 giorni, ogni 5 giorni si fa tappa per il lavaggio dei capelli. In quest’epoca, lavarsi i capelli prevede anche alcuni trattamenti di bellezza, compresa la tintura. Le mie damigelle seguono alla lettera i consigli, dati da Caterina Sforza nel suo ricettario, che prevedono l’esposizione dei capelli al sole che dura anche diversi giorni. L’ingrediente principale per rendere li capelli biondi et come oro è lo zafferano, usato per conferire la colorazione giallo-oro ai capelli. Mia cognata, Isabella d’Este, nelle sue ricette suggerisce anche un altro ingrediente colorante, la radice di rabarbaro.”