Grazie alle ricerche scientifiche, il Rinascimento permette di far progredire considerevolmente l’arte della profumeria. La chimica sostituisce l’alchimia e migliora la distillazione e la qualità delle essenze.
Durante il Rinascimento, segnato dalla riscoperta dell’antichità greco-latina e dall’invenzione della stampa, un gran numero di opere tecniche in italiano e in francese divulgano ricette di acque odorose per profumare le vesti, il corpo, le case, ma anche di profumi secchi che compongono le mele odorose e gli “uccellini di Cipro”. Queste sostanze profumano ugualmente i guanti e le cinture la cui moda, introdotta in Francia dall’Italia e dalla Spagna, contribuisce alla prosperità delle concerie di Grasse. Le materie prime animali, molto pregiate per i loro poteri afrodisiaci, entrano nella composizione di numerose ricette.
Una certa ostilità si sviluppa nei confronti dei bagni. Si pensa che l’acqua sia un veicolo di contagio e, quindi, ci si lava sempre meno. L’apparenza, tuttavia, comincia a giocare un ruolo più importante della pulizia in sé: gli aromi prendono il posto dell’igiene per nascondere la sporcizia e vincere i cattivi odori.
Le nuove rotte marittime, scoperte dalla Spagna e dal Portogallo, mettono fine all’egemonia di Venezia. Cristoforo Colombo riporta dal Nuovo Mondo la vaniglia, il balsamo del Perù e quello di Tolu, il coppale, il cacao e il tabacco. Vasco de Gama, avendo scoperto la via delle Indie, riporta sui suoi battelli cannella, benzoino, incenso, zenzero, pepe e garofano.
I grandi creatori di profumi del Rinascimento sono spagnoli o italiani. I primi hanno ereditato la loro scienza dai loro predecessori arabi; i secondi approfittano della ricchezza della penisola e del gusto dell’aristocrazia e della borghesia per i profumi. I principi stessi confezionano essenze e acque aromatiche.
Anche il grande genio italiano Leonardo da Vinci si dedica all’arte della profumeria quale scienza che gli permette di conservare l’essenza olfattiva delle cose. Realizza molti esperimenti: si occupa di ricavare sostanze coloranti, profumi, oli, veleni, dalle piante e dai fiori sperimentando le tecniche di distillazione e la tecnica dell’enfleurage, un procedimento di estrazione che permette di trattare a freddo i fiori delicati e ricavarne la loro essenza.
Le principali corti rinascimentali sono collegate tra loro e le formule dei prodotti cosmetici sono oggetto di scambi: Leonardo intreccia una stretta corrispondenza con le dame del Rinascimento per condividere segreti di bellezza.
Nel 1533 la quattordicenne Caterina de’ Medici andata sposa al duca d’Orléans, futuro re di Francia anch’egli quattordicenne, introduce alla corte francese, grazie al suo profumiere di fiducia Renato Bianco e ai frati di Santa Maria Novella, l’uso dei profumi già largamente utilizzati nelle corti italiane.
Se dovessimo stabilire un periodo nella storia in cui il profumo emerse dalle nebbie fumose del medioevo dove era stato dimenticato dopo i fasti d’epoca romana per divenire elemento indispensabile alla convivenza sociale delle classi più agiate, potremmo designare proprio l’epoca in cui Caterina de’ Medici si stabilì alla corte di Francia.
Fu la casualità, o forse il destino, a far sì che la nobiltà francese scoprisse e amasse appassionatamente un elemento che facilitava i rapporti personali, ingentiliva gli approcci e incrementava il prestigio di chi lo indossava. In una corte dove l’esibizione, l’esteriorità e lo sfarzo erano elementi indispensabili per mantenere il proprio rango e per contro, la mancanza di igiene, gli odori provenienti da corpi mai lavati e da fiati pestilenziali che inibivano spesso i tentativi di ascesa nella scala sociale, il profumo fu il balsamo che apriva le porte del successo.
Caterina de’ Medici proveniva da una città, Firenze, in cui i profumi erano regolarmente indossati dalle dame di ricco lignaggio o nobile casato, e quasi tutti i conventi dei maggiori centri urbani d’Italia avevano almeno un frate alchimista che si dedicava alla lavorazione delle erbe e all’estrazione delle loro essenze. Fu ovvio per lei, assegnare al suo seguito anche il proprio profumiere di fiducia, Renato Bianco, che scoprì una società a suo modo raffinata, ma che esalava un odore pestifero. E René le Florentin, come venne più tardi chiamato dai parigini, si mise al lavoro contribuendo alla nascita di una miriade di novelli profumieri che aprirono botteghe in tutta Parigi per provvedere a una società bramosa di essenze profumate.
Forse per la corte francese fu una necessità (il clima temperato delle nostre terre invogliava a immergersi in tinozze colme d’acqua e a strofinare la pelle e le nostre odorose fanciulle non necessitavano dell’aspersione quotidiana di liquidi odorosi), o forse fu la sensibilità del popolo dei cicisbei a far rinascere e a diffondere il profumo, attribuendo nobiltà e prestigio a un elemento che gli italiani già da tempo conoscevano e trattavano come un comune cosmetico; in ogni caso, i francesi ci tolsero il primato di profumieri, che per più di due secoli divenne quasi di loro esclusiva.
Grazie alle ricerche scientifiche, il Rinascimento permette di far progredire considerevolmente l’arte della profumeria. La chimica sostituisce l’alchimia e migliora la distillazione e la qualità delle essenze.
Durante il Rinascimento, segnato dalla riscoperta dell’antichità greco-latina e dall’invenzione della stampa, un gran numero di opere tecniche in italiano e in francese divulgano ricette di acque odorose per profumare le vesti, il corpo, le case, ma anche di profumi secchi che compongono le mele odorose e gli “uccellini di Cipro”. Queste sostanze profumano ugualmente i guanti e le cinture la cui moda, introdotta in Francia dall’Italia e dalla Spagna, contribuisce alla prosperità delle concerie di Grasse. Le materie prime animali, molto pregiate per i loro poteri afrodisiaci, entrano nella composizione di numerose ricette.
Una certa ostilità si sviluppa nei confronti dei bagni. Si pensa che l’acqua sia un veicolo di contagio e, quindi, ci si lava sempre meno. L’apparenza, tuttavia, comincia a giocare un ruolo più importante della pulizia in sé: gli aromi prendono il posto dell’igiene per nascondere la sporcizia e vincere i cattivi odori.
Le nuove rotte marittime, scoperte dalla Spagna e dal Portogallo, mettono fine all’egemonia di Venezia. Cristoforo Colombo riporta dal Nuovo Mondo la vaniglia, il balsamo del Perù e quello di Tolu, il coppale, il cacao e il tabacco. Vasco de Gama, avendo scoperto la via delle Indie, riporta sui suoi battelli cannella, benzoino, incenso, zenzero, pepe e garofano.
I grandi creatori di profumi del Rinascimento sono spagnoli o italiani. I primi hanno ereditato la loro scienza dai loro predecessori arabi; i secondi approfittano della ricchezza della penisola e del gusto dell’aristocrazia e della borghesia per i profumi. I principi stessi confezionano essenze e acque aromatiche.
Anche il grande genio italiano Leonardo da Vinci si dedica all’arte della profumeria quale scienza che gli permette di conservare l’essenza olfattiva delle cose. Realizza molti esperimenti: si occupa di ricavare sostanze coloranti, profumi, oli, veleni, dalle piante e dai fiori sperimentando le tecniche di distillazione e la tecnica dell’enfleurage, un procedimento di estrazione che permette di trattare a freddo i fiori delicati e ricavarne la loro essenza.
Le principali corti rinascimentali sono collegate tra loro e le formule dei prodotti cosmetici sono oggetto di scambi: Leonardo intreccia una stretta corrispondenza con le dame del Rinascimento per condividere segreti di bellezza.
Nel 1533 la quattordicenne Caterina de’ Medici andata sposa al duca d’Orléans, futuro re di Francia anch’egli quattordicenne, introduce alla corte francese, grazie al suo profumiere di fiducia Renato Bianco e ai frati di Santa Maria Novella, l’uso dei profumi già largamente utilizzati nelle corti italiane.
Se dovessimo stabilire un periodo nella storia in cui il profumo emerse dalle nebbie fumose del medioevo dove era stato dimenticato dopo i fasti d’epoca romana per divenire elemento indispensabile alla convivenza sociale delle classi più agiate, potremmo designare proprio l’epoca in cui Caterina de’ Medici si stabilì alla corte di Francia.
Fu la casualità, o forse il destino, a far sì che la nobiltà francese scoprisse e amasse appassionatamente un elemento che facilitava i rapporti personali, ingentiliva gli approcci e incrementava il prestigio di chi lo indossava. In una corte dove l’esibizione, l’esteriorità e lo sfarzo erano elementi indispensabili per mantenere il proprio rango e per contro, la mancanza di igiene, gli odori provenienti da corpi mai lavati e da fiati pestilenziali che inibivano spesso i tentativi di ascesa nella scala sociale, il profumo fu il balsamo che apriva le porte del successo.
Caterina de’ Medici proveniva da una città, Firenze, in cui i profumi erano regolarmente indossati dalle dame di ricco lignaggio o nobile casato, e quasi tutti i conventi dei maggiori centri urbani d’Italia avevano almeno un frate alchimista che si dedicava alla lavorazione delle erbe e all’estrazione delle loro essenze. Fu ovvio per lei, assegnare al suo seguito anche il proprio profumiere di fiducia, Renato Bianco, che scoprì una società a suo modo raffinata, ma che esalava un odore pestifero. E René le Florentin, come venne più tardi chiamato dai parigini, si mise al lavoro contribuendo alla nascita di una miriade di novelli profumieri che aprirono botteghe in tutta Parigi per provvedere a una società bramosa di essenze profumate.
Forse per la corte francese fu una necessità (il clima temperato delle nostre terre invogliava a immergersi in tinozze colme d’acqua e a strofinare la pelle e le nostre odorose fanciulle non necessitavano dell’aspersione quotidiana di liquidi odorosi), o forse fu la sensibilità del popolo dei cicisbei a far rinascere e a diffondere il profumo, attribuendo nobiltà e prestigio a un elemento che gli italiani già da tempo conoscevano e trattavano come un comune cosmetico; in ogni caso, i francesi ci tolsero il primato di profumieri, che per più di due secoli divenne quasi di loro esclusiva.