Il popolo romano: i profumi dell’impero

I Romani assimilano la religione greca e associano i profumi alle divinità e ai riti dei matrimoni e dei funerali. Perpetuando e sviluppando gli usi dei Greci e degli Orientali, i Romani contribuiscono a mantenere le antiche reti commerciali che dall’India, l’Arabia e l’Africa importano in carovana o per mare i prodotti grezzi o lavorati.

I primi Romani, più attratti dalle conquiste che dalla toilette, subiscono l’influenza dei paesi e delle civiltà che colonizzano.
Gli Etruschi fanno loro conoscere la ginestra, il laudano, il pino, il mirto, l’incenso. Le influenze ellenistiche e orientali si diffondono in Italia. Dalla Repubblica all’Impero, i profumi conoscono uno slancio formidabile fino all’eccesso.

Nerone, durante i funerali di Poppea, brucia una quantità di incenso superiore alla produzione annua dell’Arabia.

Nelle terme tutti, donne e poveri compresi, possono lavarsi. E’ sempre grazie ai Romani che si diffonde l’uso del sapo, una pasta ammorbidente a base di grasso di capra e di cenere di saponaria, antenato del sapone.
I trattati sugli odori, spesso scritti dai medici che attribuiscono ad essi virtù curative, citano dei vegetali come il giglio bianco, il narciso, il cardamomo, la rosa, l’iris, il sandalo … sostanze animali come il musc, il castoro oltre a diverse resine.

A partire da queste materie prime, i Romani preparano unguenti, acque aromatiche, profumi, pastiglie e polveri odorose. Il trattato di chimica di Zosine (fine del III secolo) attesta che i Romani conoscono la distillazione. Come in Oriente, essi utilizzano ugualmente belletti molto densi e colorati.

La diffusione dei profumi nell’impero romano e le migliorie tecniche apportate alla loro fabbricazione si sono dunque accompagnate ad un indebolimento del loro valore religioso, della loro simbologia mistica.

La comparsa del vetro nell’11° secolo a.C. e il suo utilizzo come contenitore di sostanze profumate, costituiscono la principale innovazione dell’impero romano. Questo materiale, benché fragile, presenta due vantaggi: è facile da lavorare e non custodisce gli odori. Permette ai Romani di imitare i recipienti provenienti dalla Grecia, ma allo stesso tempo di produrre contenitori di svariate forme e colori.

I Romani assimilano la religione greca e associano i profumi alle divinità e ai riti dei matrimoni e dei funerali. Perpetuando e sviluppando gli usi dei Greci e degli Orientali, i Romani contribuiscono a mantenere le antiche reti commerciali che dall’India, l’Arabia e l’Africa importano in carovana o per mare i prodotti grezzi o lavorati.

I primi Romani, più attratti dalle conquiste che dalla toilette, subiscono l’influenza dei paesi e delle civiltà che colonizzano.
Gli Etruschi fanno loro conoscere la ginestra, il laudano, il pino, il mirto, l’incenso. Le influenze ellenistiche e orientali si diffondono in Italia. Dalla Repubblica all’Impero, i profumi conoscono uno slancio formidabile fino all’eccesso.

Nerone, durante i funerali di Poppea, brucia una quantità di incenso superiore alla produzione annua dell’Arabia.

Nelle terme tutti, donne e poveri compresi, possono lavarsi. E’ sempre grazie ai Romani che si diffonde l’uso del sapo, una pasta ammorbidente a base di grasso di capra e di cenere di saponaria, antenato del sapone.
I trattati sugli odori, spesso scritti dai medici che attribuiscono ad essi virtù curative, citano dei vegetali come il giglio bianco, il narciso, il cardamomo, la rosa, l’iris, il sandalo … sostanze animali come il musc, il castoro oltre a diverse resine.

A partire da queste materie prime, i Romani preparano unguenti, acque aromatiche, profumi, pastiglie e polveri odorose. Il trattato di chimica di Zosine (fine del III secolo) attesta che i Romani conoscono la distillazione. Come in Oriente, essi utilizzano ugualmente belletti molto densi e colorati.

La diffusione dei profumi nell’impero romano e le migliorie tecniche apportate alla loro fabbricazione si sono dunque accompagnate ad un indebolimento del loro valore religioso, della loro simbologia mistica.

La comparsa del vetro nell’11° secolo a.C. e il suo utilizzo come contenitore di sostanze profumate, costituiscono la principale innovazione dell’impero romano. Questo materiale, benché fragile, presenta due vantaggi: è facile da lavorare e non custodisce gli odori. Permette ai Romani di imitare i recipienti provenienti dalla Grecia, ma allo stesso tempo di produrre contenitori di svariate forme e colori.

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